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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 24.1916

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Rellini, Ugo: La caverna di Latrònico: e il culto delle acque salutari nell'età del bronzo
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https://doi.org/10.11588/diglit.11257#0310

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611

LA CAVERNA DI LATRÒN1C0 ECC.

61 a

Il culto delle acque certo rientra tra i più comuni
ai popoli primitivi, ma importa qui rilevare che diversa
sembra esserne stata l'origine sul territorio della
penisola apenninica, e in Sardegna. Per la Sardegna,
il Pettazzoni vuol vedere le pratiche dell'ordalia nei
templi semisotterranei a pozzo centrale e allargatone
il concetto alla Sicilia, passa a stabilire un paralle-
lismo ordalico sardo-africano rafforzandolo con com-
parazioni etnografiche (1). Ma i ricordi dell'ordalia,
vaniscono nelle Puglie e comunque è certo che, se
indubbiamente le due Isole maggiori furono investite
da correnti preariane d'origine meridionale, come di-
mostrano il materiale paletnologico e l'indagine antro-
pologica, la civiltà enea vi si venne svolgendo con
suoi propri caratteri (2).

L'attribuzione del culto delle acque ai popoli di
stirpe terramaricola, quale apparve già al Pigorini,
anziché ai neolitici, mi sembra meglio rispondere
così alle conoscenze del materiale paletnologico di
cotesti due gruppi fondamentali, come alle deduzioni
che da esso è logico trarre riguardo il genere di vita,
le idee, la mentalità delle due stirpi.

Spetta ai neolitici il culto dell'ascia immanicata,
e della dea nuda, feticismo che si accorda col con-
cetto animistico rivelatoci indubbiamente dalle nostre
sepolture neo-eneolitiche, benché altri più general-
mente abbia voluto scorgervi un'idea apotropaica.

Mancano presso i palatìttoterramaricoli le rap-
presentazioni figurate, o vi sono al tutto eccezionali,
salvo quei noti maialetti tittili (3). Solo ai giorni della
fibula micenea ad arco di violino, apparve presso di
loro il culto dell'ascia e della donna ignuda, ma per
altre vie che non quelle degli immediati contatti,
come ha dimostrato il Pigorini (4).

Ben diversa mentalità ci rivela, il popolo (eura-
siatici? brachicefali??) che affida al fuoco il cadavere
e ne conserva i resti privandoli, nei primi tempi,

preceduta da tentativi rudimentali, quindi con caratteri auto-
ctoni. (Non vedo perù il contatto con le stenti di Pertosa e Za-
chito cui pensava il Porro, loc. cit., pag. 115 sg.).
(*) Pettazzoni, loc. cit., pag. 97 sg.

(2) Gervasio, Dolmen etc, pag. 350. - Orsi, Sepolcri pro-
tosiculi di Gela, loc. cit., pag. 167 sg. — Colini, B.P.I.,
XXVII, 1901, pag. 126; XXXVI, 1910, pag. 119.

(3) Colini, B. P. I., XXXVI, 1910, pag. 105.

(*) Pigorini, Note per il culto dell'ancia e della dea nuda,
'in B.P.L., XXXVII, 1911.

d'ogni corredo. Sembrano veramente questi Arii in-
clini ai concetti del naturalismo secondo le ricostru-
zioni dei dotti sulle idee religiose degli indo-europei.
Il lago su cui eressero la stazione, il sole cui l'orien-
tarono, il torrente onde dedussero l'acqua, dovettero
acquistare presso di loro speciale e più alto signifi-
cato. Alle energie naturali in genere dovette volgersi
la loro venerazione i1).

Siamo indotti a riconoscere presso di loro l'esi-
stenza di ordinate pratiche religiose, non già per ra-
gioni teoriche, considerando la loro complessa struttura
sociale, quanto certi particolari assodati nelle loro
stazioni. Non solo da lungo tempo ormai conosciamo
le pratiche rituali con cui fondavano la stazione e
stabilivano un'area speciale o lemplum, ma dobbiamo
anche ammettere l'esistenza di cerimonie propiziatorie
all'inizio dei loro lavori per spiegare quei singolari
pozzetti che stanno sotto il lemplum, i quali fatti
molto probabilmente hanno riscontro con quelli osser-
vati dall' Heierli a Saint-Moritz (2). Forse un giorno
potremo credere che al sole prestassero un culto, se
saran confermate le sagaci osservazioni dello Schiff-
Giorgini che ravvicina un disco della terramara ili
Castione a quelli dei carri solari scandinavi f3).

Qui anche debbono considerarsi i » ripostigli » di
oggetti enei perchè questi, per le ragioni esposte dal
Pigorini, altro non possono essere che stipi votive e
non magazzini di mereiai o fonditori zingareschi. Le
revisioni del Colini ci dimostrano che essi interce-
dono tra il bronzo e il ferro e i più antichi, meglio
si stringono al materiale terramaricolo. Secondo Colini,
spettano alla più antica fase della civiltà del bronzo
quelli di Castione dei Marchesi (Parma) e di S Lo-
renzo in Nuceto (Forlì) cui conviene aggiungere forse

i1) Così il De Sanctis, riassumendo lo stato delle cono-
scenze, poteva dire che presso le genti chiamate arie, in niun
luogo il culto degli avi sopraffece quello degli dei, il che di-
mostra che anche presso gli Arii primitivi, questo doveva avere
maggior importanza dell'altro. Ciò, egli dice, per la diversa
fantasia degli Arii che meglio amavano affaticarsi sui problemi
della vita, che su quelli della morte, e fors'anche per il loro
nomadismo primordiale che non favoriva lo sviluppo del culto
degli avi. Storia dei Romani, cap. III.

(2) Heierli, Die bronzezeitliche Quellfassung v. St. Moritz.
in Archiv. f. Anthrop., 1908. — Id., in Anzeiger f. Schwei-
zerische Altertums, n. ser., 1907.

Schiff-Giorgini, Sopra un. disco di corno della terra-
mara di Castione dei Marcheti, in B.P.I., XXXVII, 1911.
 
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