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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 25.1918

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Orsi, Paolo: Gli Scavi intorno a l'Athenaion di Siracusa: negli anni 1912-1917
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https://doi.org/10.11588/diglit.9138#0229

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(ìli scavi intorno a l'aTIIENAION DI siracusa

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vazione lasci molto a desiderare, malgrado che nessuna
esplorazione metodica sia stata mai tentata intorno
alle reliquie dei maggiori, a me pare che dall'esame
comparativo di essi si ricavi un tipo, dirò così, ca-
nonico del grande Stofióg nqóvaog, il quale era in
uso nelle città siceliote, sovra tutto dell'occidente,
e non mancava di affinità di struttura e di decora-
zione con altri manufatti analoghi della Grecia pro-
pria. Era un altare lunghissimo, angustissimo, prece-
duto da un'ampia gradinata longitudinale, con una
sobria decorazione dorica, solo per tenui indizi sup-
posta,
v

Il nuovo altare dell'Athenaion siracusano ci per-
mette ora di conoscere un precedente del VI sec. del
gruppo monumentale anzidetto.

Quello di Epidauro era di m 16 X 3.50 (*); assai
più piccolo l'arcaicissimo di Neandria, m. 4.80 X 4.10,
era formato di una massicciata di pezzi con rozzo
basolato (2), decorato nell'alzato di un kymation di
forme molto arcaiche. L'altare di Artemis Mesopolitis
in Orchomenos misura m. 17X3.54, e si erge da-
vanti ad un tempio non maggiore di 19.80 X 6.45 (3).
A Kleonai, di fronte al tempio si ergeva un temenos
rettangolare con due grandi altari paralleli, lunghi
ed angusti, la cui esplorazione nel 1914 non era an-
cora ultimata (*).

Anche il più volte citato ed ormai famoso tempio
di Corfù era munito del suo altare arcaico; una co-
struzione lunga, angusta e bassa, decorata di un fregio
dorico. Esso è però ancora completamente inedito.

Potrei continuare ancora questa rassegna compa-
rativa, ma già parmi che dai casi esposti risulti a
sufficienza giustificato il dubbio, che il nostro rudere

di Demeter, piccolo, vedi op. cit., pag. 64. Il tempio C della
stessa città era preceduto da un grande altare a gradinata,
ma per metà esso è distrutto (op. cit., pag. 92). In Agrigento,
l'Olympion aveva pure il suo altare a 50 m. dal fronte del
tempio; era grandissimo ed angusto, ma ora e ridotto in mi-
sere condizioni (op. cit., pag. 153, tav. XXII). Quello del c. d.
tempio di Eracle, pure in stato deplorevole, era di un tipo
analogo al precedente (op. cit., pag. 152). Di forma analoga,
ma di ingenti dimensioni (circa m. 30 di lnngh.) è anche il
§maóg del c. d. tempio di Juno Lacinia.

(') Bull. Corr. Neil.. XIV, pag. 641.

(') Koldewey, Neandria, pp. 28-29.

(3) Raro in Arch. Anzeiyer, 1914, pag. 161.

(') Karo in Arch. Anzeiger, 1913, pp. 114-116.

Monumenti Antichi — Vol. XXV.

difetti di quei requisiti che lo additerebbero come
un grande altare sacrificale. Date le dimensioni non
piccole che tale altare avrebbe avuto, preoccupa fino
ad un certo punto la tenuità del muro perimetrale,
preoccupa l'assoluta mancanza di una traccia qualsiasi
di massicciata interna, laddove la presenza dell'in-
terno di un suolo battuto, indica un ambiente vuoto;
preoccupa in qualche modo anche l'assenza di una
traccia qualsiasi della gradinata, la quale però (è do-
veroso riconoscerlo), poteva anche essere applicata ad
uno dei lati corti, dei quali nulla conosciamo.

In fine possediamo qualche probabilità, se non
altro apparente, che tutto il materiale architettonico,
così lapideo come fittile, rinvenuto entro ed accanto
al rudere, appartenesse all'alzato di esso. Ma se le
architetture lapidee coi loro triglifi converrebbero
molto bene ad un grande altare, di cui anzi costi-
tuirebbero una decorazione canonica, per nessuna ra-
gione si può ad esso applicare il complesso delle
t. c. a. Non solo mancano di ciò assolutamente esempì,
ma poiché esse riguardano la cornice e la cimasa dì
un'opera almeno in parte in legno, poiché in altri
termini esse fanno parte del tegumento, l'edificio cui
si riferivano risulta a ragion veduta inconcepibile
siccome un altare, sul quale si accendevano grandiosi
roghi.

Emerge da tutto ciò, che noi ci troviamo davanti
ad un complesso di fatti di dubbia interpretazione.
Esaspera il pensiero di possedere queste « disiecta
membra » di uno o di più ragguardevoli edifici ar-
caici, senza poterne poi definire forma e carattere;
ma è doveroso, è più onesto il dichiarare la propria
impotenza, anziché lasciarsi andare ad assegnazioni
ed a ricostruzioni fantastiche destituite di solida base.
Il dovere perciò dell'archeologo sta nella esposizione
dei fatti, nella loro genuina obbiettività. Nei casi
molto controversi, come è il presente, è riservato alla
discussione dei dotti, e ad un lungo scambio di idee,
il decidere a qual genere di edificio tali avanzi archi-
tettonici, potrebbero, se mai, rifersi. È difetto di tutti
gli archeologi di voler sfruttare le loro scoperte fino
a conclusioni estreme, e sovente inattendibili perchè
forzate. Per parte mia ho creduto di fare opera più
modesta, ma più onesta, di nulla conchiudere, quando
il dubbio e gravi obbiezioni si opponevano ad ogni
sensato tentativo di ricostruzione.

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