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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 25.1918

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Taramelli, Antonio: Fortezze, recinti, fonti sacre e necropoli preromane: nell'agro di Bonorva (Prov. di Sassari)
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https://doi.org/10.11588/diglit.9138#0454

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891

FORTEZZE, RECINTI, FONTI SACRE ECC.

892

dominatrici dell'aristocrazia religiosa e militare, si
vede la ricchezza, la pompa degli arredi che il po-
polo dominatore ha prima recato dalla patria di ori-
gine, poi ricevuto da rapporti commerciali intensa-
mente mantenuti con l'Oriente e con la Grecia, e poi
lia prodotto esso stesso, trapiantando nella penisola
le sue arti e le sue industrie.

In secondo luogo, se con questa interpretazione
è incontestabile che le tombe dei tumuli, dei circoli,
delle grandi fosse vetuloniensi siano etnische, ci sono
pure tre secoli, dal XI all'Vili, in cui il materiale
archeologico non rivela un popolo diverso da quello
stanziato in paese al primo periodo villanoviano, mentre
il fatto nuovo del popolo diverso, con abito, indu-
strie, religione, costituzione, pensiero, lingua, tutte in-
somma le caratteristiche solennemente personali, si
manifesta possente, assodato ed inconfutabile al se-
colo Vili uscente, e si afferma in modo non'spiega-
bìle solo per indussi commerciali e per rapporti rin-
vigoritori con altre contrade (1). E come mai un po-
polo dominatore e superiore, così distinto intima-
mente e che mantiene anche nell'abito proprio non
una moda, ma tutto un habitus esteriore così deci-
samente simile all'asiatico heteo, potrebbe aver pro-
ceduto così lemme lemme e si sarebbe adattato, non
per poco, ma per lunghe generazioni, a lavorare od
a celare le proprie caratteristiche, insinuandosi fra
la gente paesaua, assumendone i caratteri, piegan-
dosi ai suoi riti — e questo proprio nel campo del
rito funerario, dove anche un popolo vinto mantiene
ed allenila la propria individualità psichica — per

(') Molto finamente il Patroni ha ributtato con arguta cri-
tica la pretesa del Poulsen di rigettare fra i dati inconcludenti
l'argomento dell'abito (Appunti dì Etnografia antica. Archiv.
p. l'Antropologia ed Etnologia, XLVI (1916), pag. 92). In una
società primitiva non si può parlare di " moda » che dall'estero
si diffonda a camuffare una parte o la totalità di un popolo,
come òggi avviene delle « miglior società » di San Paolo o di
Adelaide, vestite con mode di Londra e di Parigi. Nelle so-
cietà primitive l'abito è una parte della individualità collettiva
e non si muta per secoli. Chi vive in Sardegna vede quanto
c'è di intimo tra il populo ed il suo costume, senza del quale
esso è quasi dimezzato e stranito. Oggi, nel pieno secolo XX,
i popolani di Desulo o di Orune, di Bitti o di Monteleone,
per dire un esempio, serbano, per quanto con lievi modifiche,
i costumi tradizionali che li distinguono dagli abitanti dei
paesi attigui, nonché da u is foristeris » ed una infrazione al
costume o l'abbandono del medesimo è una offesa ed uno
strappo contro le norme indigene che non tutti, e non tutte,
si attentano di fare,

esplodere poi, fattosi forte e spavaldo, con facies
tutta nuova, come un dominatore, differenziato ed in
antagonismo con i dominati, con tutto un complesso
di dati culturali, con l'aurispicina, con un insieme
di pratiche sacerdotali di divinazione che il resto degli
italici ignorarono e che non pervennero mai ad ap-
prendere, rimanendo esse come una prerogativa spe-
ciale degli Etruschi?

Certo è che nè dal primo strato » italico » della
civiltà di Villanova, nè dal II0 « etrusco », nè dal-
l'orizzonte di sepolcreti italici a cremazione, nè da
quelli recenziori a circoli, a fossa con depositi misti
a cremazione ed umazione, possiamo avere alcun con-
fronto di tombe ipogeiche a camera con residui di
suppellettile litica tale da giustificare la supposizione
da noi fatta di un passaggio del tipo dalla Etruria
alla Sardegna. Ed è certo anche che tutti i materiali
archeologici, fra i quali si volle cercare la soluzione
della questione etnisca, non ci consentono di raggiun-
gere una data più remota del XI secolo, ed anche
tali dati ci presentano piuttosto una civiltà introdotta
nella penisola italiana, o quivi trasformata, alla fine
del II millennio, legata alla discesa di nuove stirpi
provenienti dall'Europa centrale, sotto la spinta di
gravi movimenti etnici, che determinarono anche la
discesa degli Achei verso la Grecia e verso l'Asia
Minore e la fine della splendida civiltà micenea, ed
il passaggio delle tribù Arie dalla Tracia all'Asia Mi-
nore (*).

Forse un soverchio semplicismo ha dominato la
ricerca di una forinola risolutiva dell'annosa questione
sulle origini degli Etruschi: dapprima cercate solo
fra i costruttori di acropoli e i sepolti dei grandi mo-
numenti a tumulo, a nicchia, a camera, poi fra le
ritte necropoli di incineratori, risalendo a poco a poco
dalle più recenti a quelle via via più antiche.

Ma in tutto questo sforzo lodevole si finì per
« escamoter » gli indigeni, le popolazioni preesistenti,
ed in questo caso i discendenti degli eneolitici, che
pure abitarono le contrade toscane, lasciarono le chiare
e non indegne traccio della loro esistenza a Guardi-
stallo, a Camigliano Senese, a Populonia, a Castello
di Vecchiano, a Punta degli Stretti (Monte Argentario),

(l) Bathes, The Eastem Lybians, 1914, pag. 220.
 
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