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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 25.1918

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Taramelli, Antonio: Fortezze, recinti, fonti sacre e necropoli preromane: nell'agro di Bonorva (Prov. di Sassari)
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https://doi.org/10.11588/diglit.9138#0455

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FORTEZZE, RECINTI, FONTI SACRE ECC.

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iu vari punti del Viterbese, nel territorio di Poma-
rance, a Buca delle Fate, presso Livorno, a Buca della
Tana, di Maggiano (Lucca), a Pitigliano, di Grosseto,
nell'isola della Pianosa, per dire solo» dei più noti
centri di questo trascurato orizzonte. Senza argomen-
tare ex absentia, non credo che la schiatta indigena,
a cui spetta forse meglio d'ogni altra il nome di ita-
lica, sia scomparsa senza traccia, e non sia entrata
invece quale fattore notevole nella compagine etnica
del popolo dell'Btruria.

Forse anche tra i discendenti dei neolitici si potrà
trovare un fatto comparabile alla tomba a camera di
S. Andrea, come molti fenomeni dell'orizzonte proto-
sardo avranno i loro raffronti con le discendenze indi-
gene, quando si potrà cercarle e rinvenirle anche nel-
l'ambiente toscano, sinora dominato da miraggi, al-
trettanto giustificati che esclusivi.

Ma la scienza non è ipotesi di future ipotesi;
solo mi sia dato augurare che all'acuto spirito del
giovane amico e collega Pernier sorrida il tentativo
di ricercare quali siano e quale aspetto abbiano i di-
scendenti degli eneolitici in Toscana e scrutare quale
parte a loro spetta nella struttura etnica di quel mi-
rabile ed ancora misterioso popolo etrusco.

Ma potrebbe essere anche espressa una diversa
ipotesi; anziché cercare in-ambiente etrusco il poco
probabile punto di partenza della tomba a capanna
verso la solinga e solitaria Ichnusa, ritenere invece
che questa sia stata un centro di diffusione, e qui si
debbano cercare i precedenti tipologici e cronologici
di un tipo che poi si diffuse e si svolse a grande
altezza nelle regioni toscane. Allo stesso modo che
secondo il Peet ('), la Sardegna sarebbe stata nella
regione tirrena un centro di diffusione della civiltà
dei dolmens verso la penisola italiana, più arretrata
al suo confronto, così nella Sardegna dell'età del
bronzo, irta di nuraghi e di fortezze di una gente
già ivi stabilita e difensiva, già adusata alla semplice
ma accanita architettura di camere ipogei che, aperta
a limitate ma efficaci influenze oltremarine, che se-
guendo le antichissime rotte delle immigrazioni della
schiatta, avrebbero via via importato e la costruzione
a cupola, e la lavorazione dei metalli e la ricerca

(') Peet, op. cit, pag. 238.

delle miniere (*) e tanti elementi religiosi e culturali,
nella Sardegna, dico, sarebbesi anche svolta la tomba
simile alla casa in legno. Non abbiamo forse, ed in
età eneolitica, ad Anghelu Rtvjn, la cella a pianta
rettangolare, con le colonne simmetriche, con elementi
architettonici rudimentali, non abbiamo forse il mi-
rabile fenomeno del nuraghe, non abbiamo forse il
tempio, nel quale, come ho testé dimostrato, rifulge
un pallido ma significante raggio di quella luce che
sfolgorò nelle reggie e nelle tombe dell'Egeo? Tutto
questo deve essere seriamente meditato dai sostenitori
della avversa tesi orientale, prima di affrettarsi, con
una disinvoltura un po' sospetta, a sbarazzare il campo
da una ipotesi di questo genere.

Già più volte da me e da altri fu invocato un
parallelismo di fenomeni, tra la Sardegna e la Sici-
lia pre e protostorica, abbastanza chiaramente visi-
bile pur tra le grandi discordanze. E mi piace ri-
chiamarmi ad un fenomeno che tu di recente messo
in evidenza dall'Orsi, non certo sospettabile di ecces-
siva fantasia di ipotesi (2).

Mentre i Siculi del primo periodo, cioè dell'età
eneolitica, presentavano con le loro frequenti e pic-
cole necropoli, sciami di popolazioni non molto nu-
merosi, sparsi dovunque, invece nel secondo periodo
necropoli numerosissime rispondono ad agglomeramenti
più vasti; i Siculi tentano di costituire vaste unità
per così dire urbane, nuclei forti stabiliti in posizioni
dominanti ; così Cassibile con le sue 2000 tombe si-

(') Sulle miniere di Sardegna, in età preromana e nura-
gica, vedi quanto ha riassunto nel capitolo sull'officine fusorie
di Ortu Commidu, presso Sardara (Monumenti, anno XXV
(1918), col. 107 seg.). Il Giuffrida (Riv. Antropol., a. XXII,
1918, estratto, pag. 10 nota), accoglie la tisi da me data da
vari anni che i filoni cupriferi sono stati sfruttati in età nu-
ragica, e ammette che anche i grandi pani di Serra Ilii siano
prodotti locali; nulla vieta di credere, egli dice, che i segni
minoici trovati sopra di essi, fossero marche di esportazione di
minatori o commercianti Cretesi, che per il loro commercio
avessero qualche rappresentante in Sardegna, incaricato di
spedire a Creta o altrove il metallo sardo Io non credo asso-
lutamente che così siano andate le cose: ritengo che cavatori
indigeni avessero estratto il rame dalle miniere, sia pure con
spinta di esempi cretesi; ma i pani di rame sono importati
da fuori, e sono la prova di una spinta alla ricerca nel suolo
sardo che doveva rendere indipendente la schiatta sarda dai
Disogni di importazione di metallo e che favorì non solo una
cultura indipendente, ma una facile superiorità bellica contro
agli invasori.

(a) Orsi, Le necropoli sicule di Pantalica e Monte Des-
sueri (Monumenti antichi, A. XXI (1913), pag. 391).
 
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