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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 28.1922

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Della Corte, Matteo: Groma
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https://doi.org/10.11588/diglit.12555#0010

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GROMA

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ad integrare le poche, monche e sconnesse notizie, qua
e là lasciate dai gromatici nei loro scritti intorno a que-
sto strumento di pratica geometria. Nel sec. XIX il
materiale di studio si arricchisce, da un lato, di una
nuova fonte tecnico-filologica, e, dall'altro, di una rap-
presentanza monumentale della groma ; e nuovi studii
di filologi e di tecnici, nei quali quanto di meglio si è
detto resta un puro vanto del genio italiano, attingono
risultati che, se non sono la realtà, quale ora finalmente
ce la rivela il travamento pompeiano, per parecchi
rispetti alla realtà si avvicinano di molto.

In questo primo capitolo, nel quale, attraverso una
rapida e breve rassegna, esporrò, quale necessaria
premessa, le fasi del secolare dibattito intorno alla
vexala quaestio, verrò sottolineando (*) a volta a volta
tutta quella parte della dottrina che la lunga medi-
tazione dell'argomento mi consiglia di additare come
salda e controllata : seguendo un tale sistema, mi sarà
possibile, nell'atto stesso che rendo l'omaggio merita-
mente dovuto a tanti studiosi che tennero per così lungo
tempo accesa la discussione, indurre contemporanea-
mente in chi legge — e ciò nei limiti della mag-
giore brevità — la necessaria preparazione, per in-
tendere al suo giusto valore l'importanza del trova-
mento pompeiano, e la luce definitiva che da esso
scaturisce.

Genericamente si sapeva da Festo, che la groma
era « genus machinolae cuiusdam quo regiones agri
cuiusque cognosci vossunt, quod Graeci yvà>iiova di-
cunt » (2) ; in quanto poi al modo pratico di conoscere
le regiones agri cuiusque, risultava chiaramente, tanto
da Frontino, quanto da Igino, che « unico fonda-
mento dell'arie agrimensoria era quello di sapere sai
terreno tracciare degli angoli ' normales ', cioè retti (3):
« modum antera, intra lineas clusum rectorum angaloram
ratione subducimus .... ; debet enim minima quoque
pars agri in potestate esse mensoris, et hai/ita, rectorum
angaloram ratione sua postulatione eonstringi » (4) ;

(x) Con tratti interlineari sottoposti al testo.

(2) Fest. (Miiller, Lipsia, 1839), pag. 96.

(3) Gr. vet., 411, 20 ; cfr. 413,10 : rectus angulus est oetigram-
mus ex rectis Uneis comprehensus, qui latine normalis appellatur.

(4) Gromatici veteres, p. 32, 2, 12. Le citazioni relative agli
scritti degli antichi agrimensori sono da me riportate sempre dal-
l'edizione del Lachmann, 1848, anche quando, come qui, mi rife-
risco a ricerche anteriori all'edizione medesima.

« omnis limitum connexio rectis a.ngulis continetur » ('),
operando con la groma, ovvero ferramentum. Il pro-
blema però nasceva quando, partendo dalle elemen-
tari nozioni riportate, volevasi, discendendo ai par-
ticolari, identificare le parti onde la groma era fatta,
ricomporre organicamente le parti stesse, e rappre-
sentarsi infine la machinula in azione. I testi superstiti
dei romani agrimensores, quasi tutti allora a dispo-
sizione, non soccorrevano allo scopo, perchè in essi man-
cava la descrizione dello strumento dell'antico geo-
metra, sia che una siffatta descrizione fosse andata
perduta, sia che gli antichi gromatici, ciò che a me pare
più credibile, per il tempo nel quale scrivevano i loro
trattati e spesso appunti, e forse, più ancora, per la
condizione d'iniziati nell'arte mensoria dei loro lettori,
avessero ritenuto superfluo occuparsi di proposito di
uno strumento ben noto. Solo dalle descrizioni di alcune
pratiche operazioni di agrimensura restava qua e là
da dedursi qualche particolare relativo allo strumento :
e, pure appagandosi di tali angusti limiti nel campo
della ricerca, non sempre si era sicuri di profittare di
basi solide, poiché, e per effetto delle non poche mu-
tilazioni subite da quei testi, donde le numerose di-
screpanze dall'uno all'altro manoscritto, e per le mol-
teplici accezioni che molti vocaboli del lessico agri-
mensorio mostravano di avere avuto, certe difficoltà
di quei testi, la cui oscurità già lamentarono gli antichi
stessi (2), restavano insormontabili.

Ecco pertanto brevemente riassunti i risultati ai
quali approdarono autori del secolo XVII, che per i
primi si occuparono dell'argomento.

Il Rigault (3), nelle glossae agrimensoriae alla sua
antica edizione dei gromatici, alla v. groma, riporta
due luoghi di Igino : « posila auspicaliter groma », « in
caslris groma ponitur in tetrantem » (4), dal secondo
dei quali chiaro risulta combaciare la sua niente con
quella di Igino nella nozione che « tetrans è il punto
donde partono (o dove convergono) le due linee fon-
damentali, intersecantisi ad angolo retto, cioè i due

(!) Gr. vet., p. 181,14.

(2) « Et volumus ut ea quae a veteribus obscuro sermone con-
scripta sunt apertius et intelligibiìius exponere »: Aggeni Urhici.
Gr. vet., 1, 8.

(3) Nic. Rigaltii, Audores finium regundorum, Lutetiae, 1614.
(*) Gr. vet., pag. 170,5 e 180,8.
 
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