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Temperamento piuttosto plebeo, egli sa indovinare le scene ad
effetto, pur rimanendo grave e grandioso nell’insieme della com-
posizione e degli impasti dei colori. Pesante, macchinoso, egli è
tuttavia monumentale; forse Firenze — dico la Firenze del ’600 —
ove fu discepolo di Domenico Passignani, lo fece diventare così.
Quel Passignani che, discepolo ed aiuto di Federico Zuccari,
collaborò con questi a umiliare le aeree altezze della Cupola
di Santa Maria del Fiore. Il giallo-jodato, il grigiastro, i gelidi
biancori, le luci gialliccie, le penombre livide, erano state il triste
repertorio della tavolozza del Fiorentino. Ingegno più potente,
autore più grandioso, decoratore più spedito, il Tiarini seppe
imporsi per la solenne monumentalità. Anche a lui nocque non
poco il tirar via; peraltro seppe conquistarsi un posto eminente
e caratteristico fra i Bolognesi del ’600.
Un seguace di Dosso Dossi, come lo fu il Bonone, troviamo
in Giuseppe Caletti, detto il Cremonese, ma ferrarese di nascita.
Imbevuto di colore tizianesco, egli tuttavia conservò la sua per-
sonalità ferrarese, fantasiosa, spiritosa, irrequieta. Epico dunque,
il suo pennello trattò i più svariati soggetti : dalla Mitologia alla
Storia Sacra, dalle allegorie ai baccanali, dalle caccie ai quadretti
di genere, vertiginosamente, incominciando lavori di qua e di là,
lasciandoli poi incompiuti. « San Marco Evangelista » (Pinacoteca
Civica di Ferrara) unica opera di lui qui esposta, ha un curioso sfondo
con la scena del martirio. La nota di fiamma del manto scarlatto
del Santo, la beila luce sulla sua fronte, la voluminosità del libro,
il leone a destra trattato con spirito, danno abbastanza originalità
a questo quadro eseguito con destrezza e notevole per le armonie
dei colori, là dove il dipinto non è deteriorato dal tempo. Il
Baruffaldi del Caletti aveva fatto questo profilo curioso, che a
noi appare, in verità, non troppo lusinghiero: « Fu il suo tingere
un caricar forte d’impasto bronzino nelle carnagioni, cui aggiun-
geva un antico e patinato tale che facea comparire i suoi dipinti
Temperamento piuttosto plebeo, egli sa indovinare le scene ad
effetto, pur rimanendo grave e grandioso nell’insieme della com-
posizione e degli impasti dei colori. Pesante, macchinoso, egli è
tuttavia monumentale; forse Firenze — dico la Firenze del ’600 —
ove fu discepolo di Domenico Passignani, lo fece diventare così.
Quel Passignani che, discepolo ed aiuto di Federico Zuccari,
collaborò con questi a umiliare le aeree altezze della Cupola
di Santa Maria del Fiore. Il giallo-jodato, il grigiastro, i gelidi
biancori, le luci gialliccie, le penombre livide, erano state il triste
repertorio della tavolozza del Fiorentino. Ingegno più potente,
autore più grandioso, decoratore più spedito, il Tiarini seppe
imporsi per la solenne monumentalità. Anche a lui nocque non
poco il tirar via; peraltro seppe conquistarsi un posto eminente
e caratteristico fra i Bolognesi del ’600.
Un seguace di Dosso Dossi, come lo fu il Bonone, troviamo
in Giuseppe Caletti, detto il Cremonese, ma ferrarese di nascita.
Imbevuto di colore tizianesco, egli tuttavia conservò la sua per-
sonalità ferrarese, fantasiosa, spiritosa, irrequieta. Epico dunque,
il suo pennello trattò i più svariati soggetti : dalla Mitologia alla
Storia Sacra, dalle allegorie ai baccanali, dalle caccie ai quadretti
di genere, vertiginosamente, incominciando lavori di qua e di là,
lasciandoli poi incompiuti. « San Marco Evangelista » (Pinacoteca
Civica di Ferrara) unica opera di lui qui esposta, ha un curioso sfondo
con la scena del martirio. La nota di fiamma del manto scarlatto
del Santo, la beila luce sulla sua fronte, la voluminosità del libro,
il leone a destra trattato con spirito, danno abbastanza originalità
a questo quadro eseguito con destrezza e notevole per le armonie
dei colori, là dove il dipinto non è deteriorato dal tempo. Il
Baruffaldi del Caletti aveva fatto questo profilo curioso, che a
noi appare, in verità, non troppo lusinghiero: « Fu il suo tingere
un caricar forte d’impasto bronzino nelle carnagioni, cui aggiun-
geva un antico e patinato tale che facea comparire i suoi dipinti