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Autore anche di affreschi di soggetto religioso e di buoni
ritratti, il Testa lavorò per Lucca e per Roma — ove sventura-
tamente annegò nel Tevere nel 1650. Che il caravaggismo non
fosse estraneo a questo cortonesco è evidente; dalla miscela di
molte fonti egli deriva movenze e pennellate; la sua fama de-
rivò principalmente dai disegni delle antichità romane e delle
incisioni; ma — anche come pittore — egli non è trascurabile in
quanto è un anello di congiunzione fra i molti, vari elementi
del ’600 romano, anzi italiano.
E dopo lui vorremmo passare senz’altro a quel gruppo di
artisti, che ci dette fiori e frutta, animali, paesi, battaglie e bam-
bocciate tra fiammingheggianti e romani, se Domenico Feti non
ci richiamasse, e per la seconda volta in questa Mostra.
Sono qui i due quadri corrispondenti alla mezza figura di
« ApOStjl0 » (398) (Raccolte Civiche del Palazzo Ducale di Mantova), che Ve-
demmo con la maggior parte delle opere del Feti esposte nella
Sala IV.
Individuale sempre — nonostante il gran potere, che ebbero
su lui i Veneziani, — questo Romano rivela le sue belle caratte-
ristiche in ogni suo lavoro, quelle caratteristiche, che ne fanno
uno dei più interessanti pittori del nostro ’600. Egli — quasi estra-
neo a Roma per la massima parte della sua vita — rappresenta
tuttavia un aspetto del ’600 romano, dalle cui sfaccettature la sua
figura risalta evidente e personale.
Questo « Apostolo » (399), — che è San Paolo ed è una ma-
gnifica figura, forse la più potente del Feti, — ha effetti di pastello:
la luce bianca sulla barba e sui capelli è ottenuta con una maestria
magica. Ha fiero cipiglio romano e michelangiolesco; solo nelle
ombreggiature vi è un soffio veneziano. Aurea è l’impugnatura
della spada; la veste verde, il manto rosso pacato sapiente-
mente panneggiato nelle stupende luci. La mano muscolosa
poggia sul libro, modellata con sveltezza geniale. Sullo sfondo
 
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