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grigio, scorgiamo la base da cui si erge una colonna dall’into-
nazione brunetta chiara.
Talmente suggestiva è questa poderosa figura, che l’altra figura
d’ « Apostolo » (400) della medesima raccolta di Mantova, ci ap-
pare inferiore molto, nella sua veste bruna col drappo turchiniccio;
la testa non ha la forza nè l’espressione dell’altra, nonostante le
luci bianche abilmente applicate sulla sua parte superiore. La
Croce completa armoniosamente il quadro, che se non arriva
alla forza del precedente, gli somiglia tuttavia nella tecnica.
Di lui dice il Marangoni: « Roma, Firenze, Venezia, le tre
vette della pittura italiana; il calore romano, l’intellettualismo
fiorentino, la sensualità veneziana parevano questa volta a con-
fluire nel Feti per crearvi il miracolo pittorico vagheggiato dai
Carracci». Venezia lo soggiogò più che i Carracci e il Caravag-
gio avessero potuto: senza il Tintoretto, e senza i Bassano
specialmente, il Feti non avrebbe potuto creare le opere sue mag-
giori. Ma ai Veneziani egli si era già accostato a Roma; più
tardi trasse dai pittori d’oltralpe raffinatezze pittoriche. Che sul
Feti le figure michelangiolesche della Cappella Sistina abbiano
lasciato un’impronta indelebile, ce lo dimostrano parecchi suoi
personaggi biblici; d’altra parte, quel che il Marangoni chiama
« la sensibilità lievitante, irrequieta e nuova di un artista origina-
lissimo, gravido di presentimento e di sviluppi » non farebbe
parere inverosimile, che il « Cristo nell’Orto » (Museo imP. Federico
Berlino), qui solo attribuitogli, fosse suo, con quelle luci caratte-
ristiche sulle vesti di Gesù, in una sinfonia di gialli, che vanno
dal quasi arancione dei panneggi del Cristo, ai capelli biondi
dei due sacri personaggi, al cielo dorato.
Non più al Feti, ma all’Amorosi pare doversi rivendicare
il quadro « Zingari » (Signor ug0 jandoio, Roma), dipinto di carattere
più napoletano che romano, dalle tinte calde dorate, dalle
profonde oscurità, fra cui emerge la donna col tamburello, ben
 
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