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pecore — è potente e denota tutta la profonda perizia dell’autore.
I volti dei pastori hanno l’intonazione ramata di quelli di Ghe-
rardo delle Notti.
E quale godimento artistico vedere qui — accanto al Travi —-
Giov. Benedetto Castiglione detto il Grechetto, uno dei più intensi,
dei più profondi animalisti d’Italia, fervidamente fantastico, su-
perbo idealizzatore della natura e della realtà. Con ben sei opere
egli qui ci parla il suo linguaggio singolare. Nato a Genova
nel 1617, studiò con G. B. Paggi e con G. A. De Ferrari. Que-
st’ultimo gli dette duratura impronta, e una certa impronta gli
dette il cenacolo fiammingo nella Genova del suo tempo: attra-
verso a questo cenacolo egli si compenetrò del Van Dyck, del
Rubens, del Rembrandt. Firenze, Roma, Napoli, Bologna, Parma,
Venezia, furono meta dei suoi viaggi di studio. Grande studioso
del colore e delle mezze tinte, egli s’imbevve naturalmente di
venezianismo. Più che del Veronese e di Tiziano, più che del
Tintoretto, egli s’imbevve dell’arte di Iacopo da Ponte il Bas-
sano, tanto da poter essere scambiato con lui. E così anche a
questo Genovese, Venezia formò lo stile con la sua ricchezza
coloristica. 11 Castiglione dette sempre grande preferenza ai sog-
getti biblici: o perchè questi gli davano maggior campo a sfog-
giare le sue qualità migliori, il forte della sua arte, o perchè — più
che al suo temperamento — vicini intimamente alla sua razza, giac-
ché non pare escluso, ch’egli sia stato d’origine israelita. Questo
carattere lo riscontriamo in gran parte delle sue opere. A Mantova,
felice tappa della sua vita, divenne pittore di Carlo I, e morì
nel 1665.
Quando confrontiamo talune fra le migliori opere del Casti-
glione con quelle di Giov. Andrea De Ferrari suo maestro, segna-
tamente con « La Famiglia di Qiacobbe » (Accad. Ligustica di B. a. Genova)
sentiamo come — in fondo — fosse superficiale nel Castiglione la
così detta imitazione fiamminga, e come fossero profonde invece
 
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