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MARGHERITA NUGENT
forse proprio alle sue pecche, lo svolgimento ingenuo, e che appunto si rivela per la
sua ingenuità.
Il particolare iconografico che pareva tanto enigmatico, della sottoveste bianca,
o camice, sporgente in basso della tonaca grigiastra di S. Francesco (tav. XIV), e che
si scorge solo perchè il Santo, colla sinistra, in cui reca la croce, raccoglie la tonaca
alzandola un poco, è invece prettamente giottesco e corrisponde esattamente alla raf-
figurazione del Santo in una delle Scene della Vita del Serafico, nella Chiesa Superiore
di S. Francesco, ad Assisi, opera lungamente creduta di Giotto, adesso invece attri-
buita alla sua scuola, sotto il suo diretto influsso. Ed è precisamente nella X Storia,
S. Francesco che scaccia i demoni dalla città d’Arezzo (tav. CXXIV, fig. b), che il Santo
colla sinistra raccoglie la tonaca, e si scorge il camice bianco ricadente a pieghe
verticali identiche a quelle, che sono accennate convenzionalmente — quasi righe —
nell’imagine d’Irsina. Invece nella XIII Storia ad Assisi che rappresenta l’istituzione
del presepio in Greccio, S. Francesco inginocchiato, è nella bianca veste di Diacono
interrotta al collo, alla vita, sul petto e alle maniche da striscie color marrone.
Una ormai quattrocentesca derivazione della tradizione giottesca assisiana (filia-
zione dal probabile maestro del Nelli, Allegretto Nuzì, sotto l’influsso di Giotto, at-
traverso Bernardo Daddi) si può trovare nel mistico Sposalizio di S. Francesco colla
Povertà di Ottaviano Nelli (Roma, Pinacoteca Vaticana) in cui S. Francesco è ve-
stito di un’ampia tonaca scura e riccamente drappeggiata, ch’egli raccoglie colla mano
sinistra, mentre s’intravedono in basso, scendenti fino a terra, i panneggi della lunga
e bianca seconda tonaca, che porta di sotto (9).
Dovremmo cercare, a proposito della Imagine di San Francesco, in esemplari ro-
mani, pisani e umbri del XIII secolo i modelli a cui s’ispirarono i nostri pittori, ma
va qui notato, che come al S. Francesco del Sacro Speco di Subiaco, d’Anonimo del
sec. XIII, al Serafico d’Irsina mancano le Stigmate, mentre reca la Croce (come in
molti ritratti, quali in quello d’Anonimo Autore, Roma, S. Francesco a Ripa ; in quello
alla Pinacoteca di Perugia ; e in quello a S. M. degli Angeli ad Assisi, del Maestro
di S. Francesco, ecc.) (10).
Documentato, e largamente, è il soggiorno di Giotto a Napoli (11), ma nulla ci
rimane di sua mano nella città partenopea. Sfatata la leggenda che gli affreschi del-
l’Incoronata fossero suoi, appena un riflesso fiorentino-giottesco vi balena nella dispo-
sizione e nell’idea di raffigurarvi i Sette Sacramenti, tolta forse dalla ripetizione simbolica
medioevale del sette (Pianeti, Virtù, Arti e Sacramenti, del Campanile di Firenze,
soggetto anche poi trattato dal giottesco Bernardo Daddi) (12), e l’ibridismo di molti
altri affreschi napoletani fa sì da costringere chi li voglia approfondire ad ondeggiare
perpetuamente nell’attribuzione da una scuola all’altra : dalla romana alla fioren-
tina, dalla senese alla pisana. E questa, ripeto, è anche la sorte dei nostri affreschi,
e pertanto dobbiamo limitarci a definirne i caratteri.
Punti di contatto sporadici si trovano naturalmente negli affreschi d’Irsina con
gli altri trecentisti fiorentini ed anche con i molti minori fiorentini in contaminazione
con i senesi, specie ducceschi. Siccome la corrente d’influenza fiorentina — che nella
Val d’Arno andava fino ad Arezzo mentre dominava il Casentino — fu diffusa a Na-
poli da Montano d’Arezzo (operante dal 1305-1313 a Napoli e in Provincia), artista
non esente da accenti ducceschi (13).
Affinità con Maso di Banco (14), allievo di Giotto, ma seguace del Cavallini ; con
Bernardo Daddi, specie nelle foggie dei vestiti ; colle opere a Firenze dei Caddi,
degli Orcagna, di Jacopo del Casentino (con quest’ultimo sono notevoli, specie coi
particolari delle stoffe nell’ Incoronazione del Palazzo dell’Arte della Lana a Firenze)
sono in qualche modo la controprova della derivazione di certi particolari stilistici dei
nostri affreschi.
Più accentuate sono le affinità con Taddeo Caddi e col figlio Agnolo Gaddi, e
per la figura del Cristo nella Incoronazione della Vergine, confrontata con un foglio
di Corale, Iniziale Resurrezione di Cristo, fiorentino della fine del XIV secolo (Collez.
MARGHERITA NUGENT
forse proprio alle sue pecche, lo svolgimento ingenuo, e che appunto si rivela per la
sua ingenuità.
Il particolare iconografico che pareva tanto enigmatico, della sottoveste bianca,
o camice, sporgente in basso della tonaca grigiastra di S. Francesco (tav. XIV), e che
si scorge solo perchè il Santo, colla sinistra, in cui reca la croce, raccoglie la tonaca
alzandola un poco, è invece prettamente giottesco e corrisponde esattamente alla raf-
figurazione del Santo in una delle Scene della Vita del Serafico, nella Chiesa Superiore
di S. Francesco, ad Assisi, opera lungamente creduta di Giotto, adesso invece attri-
buita alla sua scuola, sotto il suo diretto influsso. Ed è precisamente nella X Storia,
S. Francesco che scaccia i demoni dalla città d’Arezzo (tav. CXXIV, fig. b), che il Santo
colla sinistra raccoglie la tonaca, e si scorge il camice bianco ricadente a pieghe
verticali identiche a quelle, che sono accennate convenzionalmente — quasi righe —
nell’imagine d’Irsina. Invece nella XIII Storia ad Assisi che rappresenta l’istituzione
del presepio in Greccio, S. Francesco inginocchiato, è nella bianca veste di Diacono
interrotta al collo, alla vita, sul petto e alle maniche da striscie color marrone.
Una ormai quattrocentesca derivazione della tradizione giottesca assisiana (filia-
zione dal probabile maestro del Nelli, Allegretto Nuzì, sotto l’influsso di Giotto, at-
traverso Bernardo Daddi) si può trovare nel mistico Sposalizio di S. Francesco colla
Povertà di Ottaviano Nelli (Roma, Pinacoteca Vaticana) in cui S. Francesco è ve-
stito di un’ampia tonaca scura e riccamente drappeggiata, ch’egli raccoglie colla mano
sinistra, mentre s’intravedono in basso, scendenti fino a terra, i panneggi della lunga
e bianca seconda tonaca, che porta di sotto (9).
Dovremmo cercare, a proposito della Imagine di San Francesco, in esemplari ro-
mani, pisani e umbri del XIII secolo i modelli a cui s’ispirarono i nostri pittori, ma
va qui notato, che come al S. Francesco del Sacro Speco di Subiaco, d’Anonimo del
sec. XIII, al Serafico d’Irsina mancano le Stigmate, mentre reca la Croce (come in
molti ritratti, quali in quello d’Anonimo Autore, Roma, S. Francesco a Ripa ; in quello
alla Pinacoteca di Perugia ; e in quello a S. M. degli Angeli ad Assisi, del Maestro
di S. Francesco, ecc.) (10).
Documentato, e largamente, è il soggiorno di Giotto a Napoli (11), ma nulla ci
rimane di sua mano nella città partenopea. Sfatata la leggenda che gli affreschi del-
l’Incoronata fossero suoi, appena un riflesso fiorentino-giottesco vi balena nella dispo-
sizione e nell’idea di raffigurarvi i Sette Sacramenti, tolta forse dalla ripetizione simbolica
medioevale del sette (Pianeti, Virtù, Arti e Sacramenti, del Campanile di Firenze,
soggetto anche poi trattato dal giottesco Bernardo Daddi) (12), e l’ibridismo di molti
altri affreschi napoletani fa sì da costringere chi li voglia approfondire ad ondeggiare
perpetuamente nell’attribuzione da una scuola all’altra : dalla romana alla fioren-
tina, dalla senese alla pisana. E questa, ripeto, è anche la sorte dei nostri affreschi,
e pertanto dobbiamo limitarci a definirne i caratteri.
Punti di contatto sporadici si trovano naturalmente negli affreschi d’Irsina con
gli altri trecentisti fiorentini ed anche con i molti minori fiorentini in contaminazione
con i senesi, specie ducceschi. Siccome la corrente d’influenza fiorentina — che nella
Val d’Arno andava fino ad Arezzo mentre dominava il Casentino — fu diffusa a Na-
poli da Montano d’Arezzo (operante dal 1305-1313 a Napoli e in Provincia), artista
non esente da accenti ducceschi (13).
Affinità con Maso di Banco (14), allievo di Giotto, ma seguace del Cavallini ; con
Bernardo Daddi, specie nelle foggie dei vestiti ; colle opere a Firenze dei Caddi,
degli Orcagna, di Jacopo del Casentino (con quest’ultimo sono notevoli, specie coi
particolari delle stoffe nell’ Incoronazione del Palazzo dell’Arte della Lana a Firenze)
sono in qualche modo la controprova della derivazione di certi particolari stilistici dei
nostri affreschi.
Più accentuate sono le affinità con Taddeo Caddi e col figlio Agnolo Gaddi, e
per la figura del Cristo nella Incoronazione della Vergine, confrontata con un foglio
di Corale, Iniziale Resurrezione di Cristo, fiorentino della fine del XIV secolo (Collez.