37
III. - IL "SETTECENTO"
I. - Mi richiamo a quel che ho detto di sopra: « un sentimento di speditezza amabile e di agilità
franca sarà, tutto sommato, il lievito principe della pittura settecentesca ». Il nocciolo della verità è qui. Inutile
dire che una notazione così semplice e semplicistica non può pretendere di risolvere in una cognizione compiuta
ogni posizione pittorica di un secolo intero. Occorrerebbe almeno svolgerla e dedurla in tutti i suoi possibili ergo.
Indirettamente intanto essa afferma che la novità settecentesca, qualche volta grandiosa, sempre di
un'estrema piacenza, va ricercata non nell'invenzione di altre essenziali idee artistiche, ma nel sentimento con
cui le già conosciute furono riassunte e continuate.
Bastò cioè in genere al settecento, da una parte la decorativa grafica di origine cortoniana ripresa
al punto di innesto con il colorismo veneziano a cui l'avevan condotta Sebastiano Ricci e Luca Giordano
vecchio; e dall'altra parte il colorismo di pennellata ripreso al punto di pittura di tocco e di macchia a cui
l'avevan condotto il Magnasco e lo Spagnolo. La quale portava naturalmente con sè quel tanto di eredità
caravaggesca che era connaturata ormai al colore seicentesco, e che poteva a volte rifiorire energica e quasi
prender la mano e avere il sopravvento, come nel caso Piazzetta.
Ma tutto questo è accolto, e poi adoperato sempre più, con una spigliatezza corriva che è la proie-
zione stilistica di un essenziale spirito antisistematico. Si rifiuta l'ordine costituito, si frantumano le quadrature,
anche in quel poco che ne poteva esser avanzato negl'ultimi tempi; e si improvvisa di volta in volta un ordine
e una disciplina liberamente accettati, che organizzano i rottami in costruzioni di fortuna, senza precedenti
e senza legislazioni di tradizione. Ogni quadro sembra ogni volta inventare la sua propria poetica. Tutti i
punti di vista irregolari che il seicento aveva scoperto, d'angolo, di scanci'o, d'infilata e a ogni grado d'in-
clinazione del sott'insù, sono ripresi, combinati in complicazioni sempre rinnovate da una fantasia che vede
il mondo per oscillazioni e instabilità. Il taglio del campo visivo è sempre operato come per dar vita a epi-
sodi senza preoccupazioni di scene: cieli, colonne, palazzi, acque, alberature, persone, sono resecati via dal
transito delle cornici, a mezzo, a un terzo, a una semplice affacciatura, senza riguardo. Le linee sono inaf-
ferrabili spesso, come quelle di un'acqua che spumeggia: da non saper dire se esistano davvero. Nascono senza
nessuna autonomia nell'incontro dei piani di luce e di colore; non creano più, come un tempo, ma son create
e in soggezione; pulsate dai guizzi e dai palpiti della pennellata si spezzano, si scheggiano, scompaiono in un
sodo di forma per riapparire un momento dopo più in là, puntute e taglienti. Le vicende chiaroscurali paiono
colpi di vento in nuvole di primavera. E sopra, il colore di gamma chiarissima prilla, trilla e brilla, come
un uccello di primavera seguita a gorgheggiare nell'acqua piena di luce che fa nascere l'arcobaleno.
Tutto il mondo, con le forme regolari, sembra perdere il suo peso. La materia è lievitata. Non c'è for-
mazione antigeometrica e stramba che, con la sua leggerezza, essa non possa assumere in tutta spontaneità.
Essa ha acquistato qualità volatili: sembra avere una continua aspirazione a inalzarsi nell'aria e al moto pen-
dulo. E il mondo della felicità facile, della grazia di giuoco, dell'equilibrio sempre distrutto e sempre ritrovato.
Nei suoi momenti più concreti di realizzazione ci darà il Tiepolo o il Guardi. Nei punti estremi del suo
lasciarsi andare senza controllo all'ebrietà della vicenda, gli avverrà di giungere a uno stacco totale dalle
ragioni della realtà, a un tradurre la vita in avventura fiabesca. Allora l'arte si farà di fiaba anche lei, ed
avremo Giovanni Antonio Guardi e il Bazzani.
LO SPIRITO
ANTISISTE-
MATICO DEL
SETTECENTO.
2. - Senza volere, dagli accenni fatti sopra scaturisce già la constatazione che il culmine della pit-
tura settecentesca è veneziana. Poiché essa non è se non un'ultima elaborazione di elementi in grandissima
parte lagunari, il destino sembra giusto. Non che però in altri luoghi d'Italia, pur senza poter competere con
Venezia, non sieno venuti su artisti ed opere di rilievo.
QUA E LÀ PER
L' ITALIA.
III. - IL "SETTECENTO"
I. - Mi richiamo a quel che ho detto di sopra: « un sentimento di speditezza amabile e di agilità
franca sarà, tutto sommato, il lievito principe della pittura settecentesca ». Il nocciolo della verità è qui. Inutile
dire che una notazione così semplice e semplicistica non può pretendere di risolvere in una cognizione compiuta
ogni posizione pittorica di un secolo intero. Occorrerebbe almeno svolgerla e dedurla in tutti i suoi possibili ergo.
Indirettamente intanto essa afferma che la novità settecentesca, qualche volta grandiosa, sempre di
un'estrema piacenza, va ricercata non nell'invenzione di altre essenziali idee artistiche, ma nel sentimento con
cui le già conosciute furono riassunte e continuate.
Bastò cioè in genere al settecento, da una parte la decorativa grafica di origine cortoniana ripresa
al punto di innesto con il colorismo veneziano a cui l'avevan condotta Sebastiano Ricci e Luca Giordano
vecchio; e dall'altra parte il colorismo di pennellata ripreso al punto di pittura di tocco e di macchia a cui
l'avevan condotto il Magnasco e lo Spagnolo. La quale portava naturalmente con sè quel tanto di eredità
caravaggesca che era connaturata ormai al colore seicentesco, e che poteva a volte rifiorire energica e quasi
prender la mano e avere il sopravvento, come nel caso Piazzetta.
Ma tutto questo è accolto, e poi adoperato sempre più, con una spigliatezza corriva che è la proie-
zione stilistica di un essenziale spirito antisistematico. Si rifiuta l'ordine costituito, si frantumano le quadrature,
anche in quel poco che ne poteva esser avanzato negl'ultimi tempi; e si improvvisa di volta in volta un ordine
e una disciplina liberamente accettati, che organizzano i rottami in costruzioni di fortuna, senza precedenti
e senza legislazioni di tradizione. Ogni quadro sembra ogni volta inventare la sua propria poetica. Tutti i
punti di vista irregolari che il seicento aveva scoperto, d'angolo, di scanci'o, d'infilata e a ogni grado d'in-
clinazione del sott'insù, sono ripresi, combinati in complicazioni sempre rinnovate da una fantasia che vede
il mondo per oscillazioni e instabilità. Il taglio del campo visivo è sempre operato come per dar vita a epi-
sodi senza preoccupazioni di scene: cieli, colonne, palazzi, acque, alberature, persone, sono resecati via dal
transito delle cornici, a mezzo, a un terzo, a una semplice affacciatura, senza riguardo. Le linee sono inaf-
ferrabili spesso, come quelle di un'acqua che spumeggia: da non saper dire se esistano davvero. Nascono senza
nessuna autonomia nell'incontro dei piani di luce e di colore; non creano più, come un tempo, ma son create
e in soggezione; pulsate dai guizzi e dai palpiti della pennellata si spezzano, si scheggiano, scompaiono in un
sodo di forma per riapparire un momento dopo più in là, puntute e taglienti. Le vicende chiaroscurali paiono
colpi di vento in nuvole di primavera. E sopra, il colore di gamma chiarissima prilla, trilla e brilla, come
un uccello di primavera seguita a gorgheggiare nell'acqua piena di luce che fa nascere l'arcobaleno.
Tutto il mondo, con le forme regolari, sembra perdere il suo peso. La materia è lievitata. Non c'è for-
mazione antigeometrica e stramba che, con la sua leggerezza, essa non possa assumere in tutta spontaneità.
Essa ha acquistato qualità volatili: sembra avere una continua aspirazione a inalzarsi nell'aria e al moto pen-
dulo. E il mondo della felicità facile, della grazia di giuoco, dell'equilibrio sempre distrutto e sempre ritrovato.
Nei suoi momenti più concreti di realizzazione ci darà il Tiepolo o il Guardi. Nei punti estremi del suo
lasciarsi andare senza controllo all'ebrietà della vicenda, gli avverrà di giungere a uno stacco totale dalle
ragioni della realtà, a un tradurre la vita in avventura fiabesca. Allora l'arte si farà di fiaba anche lei, ed
avremo Giovanni Antonio Guardi e il Bazzani.
LO SPIRITO
ANTISISTE-
MATICO DEL
SETTECENTO.
2. - Senza volere, dagli accenni fatti sopra scaturisce già la constatazione che il culmine della pit-
tura settecentesca è veneziana. Poiché essa non è se non un'ultima elaborazione di elementi in grandissima
parte lagunari, il destino sembra giusto. Non che però in altri luoghi d'Italia, pur senza poter competere con
Venezia, non sieno venuti su artisti ed opere di rilievo.
QUA E LÀ PER
L' ITALIA.