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Archivio storico dell'arte — 1.1888

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Fasc. VI
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Venturi, Adolfo: Ercole Grandi
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https://doi.org/10.11588/diglit.17347#0296

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108

ERCOLE GRANDI

colari. Il Garofalo, confrontato al Grandi, sì per originalità e varietà di forme, come per profon-
dità d'espressione, vivacità e forza di colorito, gli è di molto inferiore. In un soffitto del Seminario
di Ferrara, vedesi del Garofalo lo stesso motivo di decorazione prescelto dal Grandi con quella
certa apertura di cielo e le figure che guardano all'ingiù, ma quegli resta, al paragone del
Grandi, meschino e freddo. Là nel soffitto del palazzo Costatili il nostro pittore era al suo me-
riggio, come lo era nell'ancona dell'aitar maggiore dell'Oratorio della Scala, passata poi nella colle-
zione Strozzi, e da questa alla Galleria Nazionale di Londra. Porse Ercole Grandi fece quelle pitture
poco dopo che Raffaello dipinse la Santa Cecilia, perchè nel soffitto si vede una testa femminile,
che tiene una grande somiglianza, certo non causale, con la Maddalena del quadro raffaellesco.

L'ancona della galleria di Londra rappresenta la Vergine in trono col bambino Gesù, forte e
bello, ritto sul suo ginocchio destro, in atto di benedire. Ai lati del trono, San Giovanni, umile e
divota figura di apostolo, e San Giorgio, giovane guerriero di signorile eleganza, con una mano
al fianco, e con l'altra posata sul lungo spadone, in modo da fare arco coli'indice e il pollice.
Sul capo della Vergine si stende un'arcata con finissimi ornati; e ne' pennacchi, entro medaglioni,
sono dipinti la Vergine e l'Arcangelo annunciatore.

Nella base del trono, piccoli fregi eleganti a chiaroscuro, due teste con turbanti, Adamo ed
Eva su fondo dorato a mosaico. Nel piedistallo, in piccole figure, la Presentazione di Gesù al
tempio, la Strage degli Innocenti, il Sacrifizio d'Abramo e altre sacre istorie.

Altri quadri si trovano del Grandi, nelle Gallerie pubbliche e private, e sono ascritti al Costa
e talora anche al Francia, quantunque il Grandi, se in qualche modo li ricorda, abbia tuttavia
una propria e franca individualità.

A Roma, nella Collezione Corsini, vi è un grazioso quadretto, che rappresenta San Giorgio
in atto di uccidere il drago: San Giorgio ha una bella testina, ripiegata, divota, che risente del
Francia, e manca dell'ardire, della robustezza degli armigeri del quattrocento trasformati nel
Santo cavaliere; ma calmo e sicuro di sè egli guarda al mostro, alzando le spalle. Il cavallo con
una grossa testa, bardato di rosso, non si spaventa accostandosi al drago, color di lucertola, con
occhi e bocca schizzanti fuoco; ma quetamente si erge sulle zampe posteriori. Ginocchioni la re-
gale donzella attende di esser liberata, e prega: i suoi capelli scintillano, un cordoncino ne tra-
versa dirittamente la fronte: nulla scompone la bella figura piena di fede. Sulla coscia del cavallo
sta il monogramma dell'artista, noto già per quello di Ercole da Ferrara, nel secolo scorso, al
canonico Crespi, il quale, precorrendo ia moderna distinzione della critica tra Ercole Roberti e
il Grandi, notava come quel quadretto non avesse relazione con la predella di San Giovanni in
Monte di Ercole da Ferrara, acquistata dall'Elettore di Sassonia Augusto III.

Nella Galleria del Campidoglio vi è un ritratto gentilissimo di giovinetta, ascritto a Giovanni
Bellini (n. 207), ma che tiene molti caratteri dell'arte di Ercole Grandi, nessuno di Giambellino.
La donzella di aspetto melanconico, ha un libriccino grazioso nella destra: dietro a lei vedesi
un paesaggio azzurrino, come di consueto nei quadri del Grandi. Nulla ci è noto sulla donna
rappresentata nel ritratto; ma giova qui ricordare che Ercole da Ferrara (e più probabilmente
il Grandi che il Roberti) ritrasse l'effigie della bella di Antonio Tibaldeo, cosa che gii attirò il
convenzionale rimprovero in versi del poeta, il quale trovava la bellezza della donna sua non
traducibile dal pennello, fosse pure Zeusi od Apelle il pittore, e innamorato cantava:

Solo il cor mio sa farla com'è bella. 1

Ecco il sonetto: Qual fu il pittor sì temerario e stolto

Che ritrar volse la tua forma in carte?
Che Zeusi, e Apel, ch'inteser sì ben l'arte,
E che hanno il pregio a tutti gli altri tolto,

Imitar non saprian del tuo bel volto
Col suo disegno pur la minor parte,
Né si confideria di nuovo farte
Essa natura, benché possa molto:

Sicché non dar fatica alla pittura,
Se sei un Sol, non ti fare una stella,
Non ha in carta il suo onor la tua figura:

Solo il cor mio sa farla com'è bella,
Che se di fuor potesse per ventura
Mostrarla; udresti ognun gridar: gli è quella.
 
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