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Archivio storico dell'arte — 5.1892

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https://doi.org/10.11588/diglit.18091#0397

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351

dei monumenti già collocativi si trovano nei ma-
gazzini della fabbrica nuova); nel 1504 scolpisce
il portale del palazzo Cattaneo (Piazza Grillo-Cat-
taneo, 6); nel 1506 aveva terminato pel cardinale
di San Crisogono, Girolamo Basso della Rovere, una
cappella nella chiesa di Santa Chiara a Savona,
che oggi non esiste più ; nello stesso anno si era
obbligato di eseguire una fontana monumentale
pel cardinale di Rouen, Giorgio d'Amboise, in com-
pagnia col suo nipote Pace e con un certo Ago-
stino Solari, e nel 1508 ricevette l'allogazione delle
statue di Luciano Grimaldi, Antonio Doria e Fran-
cesco Lomellino pel palazzo di San Giorgio, di cui
le due ultime furono difatti eseguite da lui, mentre
la prima fu probabilmente cominciata da lui, ma
poi terminata dal nipote che la segnò: « Paces
Gazinus BissOnius faciebat 1509 ». Lo stosso av-
venne anche pel monumento sepolcrale di Raoul
de Lanoy, governatore del re Lodovico a Genova,
commesso al Tamagnino da Lanoy stesso nel 1508,
poiché sull'opera, oggi collocata nella chiesa di
Kolleville, piccolo villaggio nelle vicinanze di Amiens,
si trovano le segnature di ambedue i maestri: « An-
tonius de Porta Tamagninus Mediolanensis faciebat
et l'axius nepos suus ». 1/ultimo lavoro del Ta-
magnino a Genova'furono i cancelli di marmo per
l'oratorio delle Disciplinanti a Santa Maria di Ca-
stello, allogatigli nel 1509. Dall'anno 1510 in poi
egli non apparisce più nei documenti a Genova;
sett'anni dopo, però, lo ritroviamo nella Certosa
di Pavia, occupato dal 1517 al 1519 a scolpire
insieme con Ben. Briosco e Battista da Sesto li-
grandi statue di Apostoli Evangelisti e Santi per
le nicchie dei contrafforti della facciala. D'allora
in poi mancano notizie su questo artefice versatile
e di molto talento sì, ma — a quanto pare al-
trettanto incostante e ramingo.

Il nipote non aveva seguito lo zio Bel suo ul-
timo viaggio ; egli rimase a Genova, dove lo ve-
diamo ancora per più d'un decennio occupato in
diverse commissioni di minore importanza (delle
opere sue eseguite in questo spazio di tempo non
si può rintracciarne nessuna), finché nell'anno 1522
sparisce da Genova, avendo incaricato, sotto il
1" aprile 1521, uno de' suoi connazionali, Francesco
Brocchi da Campione, della cura de' suoi affari.
Lo ritroviamo a Siviglia, attento a erigere nella
cappella del Capitolo della Certosa il monumento
sepolcrale di Donna Caterina de Ribera, alloga-
togli dal di lei figlio don Fadrique Enriquez de j
Ribera, allorquando questi, di ritorno da un viaggio j

a Gerusalemme, nell'agosto 1520 soggiornò a Ge-
nova, ed eseguito dal Gagini ivi nei seguenti due
anni. La detta opera, che dopo la secolarizzazione
della Certosa nell'anno 1836 fu traslocata nella
chiesa dell'Università, già Collegio dei gesuiti, è,
insieme col monumento del padre di don Fadrique,
di cui si parlerà più innanzi, senza alcuna compa-
razione il più magnifico, più sontuoso lavoro di
scalpello italiano nella Spagna. Dalla sua analogia
col monumento dell'arcivescovo Diego de Mendoza
eretto circa al 1510 dallo scultore Michele Fio-
rentino, che si era fissato per sempre a Siviglia ed
ivi si era dato principalmente alla scultura in
terra cotta invetriata, si deve inferire che il com-
mettente aveva proposto questo come modello al
nostro artista. Così si spiega pure come il capola-
voro del Gagini, tutto di stile lombardo in quanto
alle forme e alla decorazione, nel concetto generale
e nella costruzione non abbia niente da fare con
simili opere degli scultori di scuola lombarda;
poiché i modelli di questo monumento si tro-
vano a Roma, dove circa dal 1460 già erano sorti
numerosi sepolcri di prelati e curiali spaglinoli,
nei quali si imitava più o meno il tipo del monu-
mento a nicchia (Nischengrab), concezione questa
degli artisti fiorentini dei primi decenni del Quat-
trocento (Donatello, Beni, e Ani. Kossellino, De-
siderio da Settignano). L'opera di Pace Gagini,
però, supera di molto qnoJla del suo predecessore
fiorentino, sia nella magnificenza e pompa del con-
ce! io, sia nella ricchezza e delicatezza del lavoro
degli arabeschi, sparsi con estrema profusione sui
l'usti delle colonne, sui pilastri, fregi, archivolti,
capitelli e imbasamenti, sia pure nell'importanza
della composizione e nella finitezza dell'esecuzione
delle statue e dei rilievi che ne ornano le nicchie
laterali, la lunetta e il corpo del monumento al
di sopra della statua del defunto, giacente sul ricco
sarcofago. Ma benché, come abbiamo testé accen-
nato, il concetto dell'opera in questione rimonti a
simili lavori in Roma, invano si cercherebbero là
anche i modelli per un addobbamento ornamentale
di questa sorta, ed in ispeoie circa l'anno 1520,
quando il gusto per esso era già sparito. Anzi,
anologie col carattere della decorazione della no-
stra opera si potrebbero rintracciare piuttosto in
opere scultorie lombarde, come, per es., sarebbero
le facciate di San Lorenzo a Lugano e Santa Maria
dei Miracoli a Brescia. Il monumento Ribera, se.
guato dal suo autore colla scritta: « Opus Pace
Gazini faciebat in lanua », come è il suo capo-
 
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