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Archivio storico dell'arte — 7.1894

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Fasc. II
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Barbier de Montault, Xavier: Il calice di Gian Galeazzo Visconti a Monza
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https://doi.org/10.11588/diglit.19206#0127

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IL CALICE DI GIAN GALEAZZO VISCONTI A MONZA

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chiuso dell'apostolato, perchè essi solo hanno il diritto di insegnare; una banderuola dà
il loro nome in gotico quadrato, e qualche volta un attributo speciale li caratterizza. Essi
sono disposti così: S. Tommaso, S. THOMAS, barbuto; S. Andrea, S. ANDREAS, vecchio
e barbuto, con una croce da processione nella mano destra; S. Giacomo minore, S. YACOBS ;
S. Taddeo, S. TADE9 ; S. Simoue, S. SYMU ; 1 S. Giovanni, rappresentato senza barba a
cagione della sua verginità e a torto chiamato S. YACOBS, il che lo farebbe a doppio
uso. Gli apostoli sono inquadrati entro due contrafforti, profilati in campanelle, da cui na-
scono degli abbracciamenti trilobati, la cui parte esteriore è guarnita di piccole bolle piatte
e terminata da un mazzo in trifoglio.

II.

Descritto minuziosamente il vaso, bisogna rendersi conto della ragione d'essere della
sua iconografìa, della sua destinazione e dell'epoca della sua esecuzione.

L'iconografia è topica, nel senso che essa è appropriata all'uso del vaso stesso. Il
calice, difatti, serve all'altare per il Santo Sacrifizio: gli apostoli furono i primi preti. E
ad essi che il Cristo ha detto dopo 1' ultima Cena : " Fate questo in mia memoria. „ Il
loro posto era dunque naturalmente al primo rango sul vaso eucaristico.

La Vergine e S. Giovanni Battista, che sono al più alto grado nella gerarchia celeste,
presiedono il corteggio dei santi, destinati a rappresentare la Chiesa con i suoi differenti
ordini: dottori, vescovi, martiri, confessori, religiosi, e tra essi i santi più particolarmente
cari alla Chiesa di Milano, come S. Gervasio, San Protasio e S. Pietro martire. Così si
compie nell'unità quello che il Credo chiama la comunione dei Santi: " Credo Sanctam
Eeclesiam catholicam, Sanctorum communionem, remissionem peccatorum, carnis resurrec-
tionem, vitam aeternam. „ I santi sono in possesso della vita eterna, acquistata per la
remissione totale dei peccati e preparata dalla partecipazione al banchetto eucaristico.

Tale è l'idea generatrice della composizione, che contiene ancora due altri elementi,
l'uno generale e 1' altro particolare, i dottori e i patroni. I quattro dottori della Chiesa
latina meritavano 1' onore di figurare dopo gli apostoli, perchè anche essi hanno offerto
il Santo Sacrifizio e mostrato al popolo fedele la sua efficacia nei molteplici bisogni
della vita.

Il donatore non si è contentato di mettere le sue armi sul calice; esso ha aggiunto
i suoi patroni, i santi che considerava come suoi protettori, e che amava invocare. Forse
questo segno speciale aiuterà a riconoscerlo.

Il signor Biraghi e il signor Burges attribuiscono il calice all'anno 1345 ed a Gio-
vanni Visconti, arcivescovo di Milano. Io respingo assolutamente questa data troppo antica,
che non corrisponde allo stile più moderno dell'oreficeria. Don Achille Varisco mi conferma
nella mia opinione con delle considerazioni desunte dalla storia e dall'arte araldica. La
sua lettera del 30 gennaio 1885 chiarì la vera soluzione. " Il biscione è l'antico scudo dei
Visconti. Gian Galeazzo, detto il Conte di Virtù, prese per impresa particolare il raggio di
sole e la tortorélla, che si vede sur una delle sue monete, chiamata per questo piccione o
pigeone. Dopo il matrimonio di sua figlia Valentina col fratello del re Carlo VI, Luigi di
Tirrena, il 17 settembre 1389, egli aggiunse la divisa: A don droit, che prese da una collana
fatta in Francia e che Valentina aveva ricevuta in dono. Egli inquartò al suo scudo quello
di Francia, quando, il 12 ottobre 1394, ebbe fatto scrivere agli ambasciatori una lettera
per esortare il re a venire in Italia alla conquista di Genova. Il 4 gennaio 1395, l'impe-
ratore Vinceslao gli concesse di mettere nelle sue armi Vaquila imperiale. Il 19 ottobre 1396,
fu fatto conte di Pavia, ciò che gli permise 1' uso delle tre aquile. Morì il 3 settembre 1402. „

1 II nome può ristabilirsi Symun: io concludo che u suonava qui come o.
 
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