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Archivio storico dell'arte — 7.1894

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Fasc. III
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Calzini, Egidio: Marco Palmezzano e le sue opere, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.19206#0239

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MARCO PAEMEZZANO E LE SUE OPERE

197

San Girolamo, genuflesso, in atto di battersi il petto con un sasso. Poco discosto da lui
scorrono le acque del fiume, sulla cui riva opposta, in lontananza, è un attendamento con
cavalli e cavalieri; alla sinistra di chi guarda, una roccia con un piccolo sentiero condu-
cente ad una chiesa seminascosta dalla frasca. Due figurine presso la chiesa guardano in
fondo verso il fiume ; il cielo vi è luminoso e azzurro.

Il santo, in proporzioni poco meno del naturale, è coperto da una veste rosso-scura
aperta sul petto, senza maniche e con grande sparato ai fianchi, dalla vita in giù ; ha
nude le braccia, il petto, le gambe, ed è di una magrezza estrema. Discretamente bella
è la testa, con aureola dorata, adorna di una candidissima barba, morbida, arrotondata,
invece che divisa e a punte, e i capelli tendenti al biondo, attorno al cranio calvo. 1 Certo
che tale maestro, con siffatta figura dai contorni inarcati, ben scolpiti, dalle ossa spol-
pate, tutta nervi, riesce, anche pel colore delle carni giallo-scure, più legnoso ed arido di
altri maestri venuti prima di lui, e non si direbbe scolaro del Francia. Migliore tuttavia
ci si mostra nel piegare, ove apparisce meno duro e secco di quanto si potrebbe supporre,
e ricorda anche nella tavolozza la maniera più grandiosa e libera del suo concittadino Car-
rari il Giovane.

Ad ogni modo, Bartolomeo da Forlì è l'unico tra i pittori del luogo che più si ac-
costi, massime nella lucentezza del paese, alla maniera del Palmezzano giovanetto. Ma
d'altra parte il Malvasia, che nei registri annotati dal Francia legge, tra i nomi dei due-
cento e venti giovani artisti accorsi alla bottega di lui, anche quello del forlivese Barto-
lomeo, ci fa accorti dell' errore in cui cadremmo se si ponesse codesto suo concittadino
tra i maestri di Marco. Perocché noi sappiamo come, proprio al tempo nel quale il Francia
divien pittore, il Palmezzano trovavasi già al fianco del suo grande maestro. Fu solo in
seguito, e dopo la morte del Melozzo, che Palmezzano conobbe la scuola del Raibolini, dal
quale derivò, accurato e diligente quale era, una più fine e scrupolosa esecuzione nei par-
ticolari, una maggiore delicatezza di pennello, ed in parte forse quell' aria ingenua e dolce
delle sue figure, che pur tuttavia non giungono ad emulare quelle del Francia, delle sue
tanto più espressive in quella stessa semplicità soave e divota. Comune invece a questi
maestri è la distribuzione dei personaggi, quasi sempre simmetricamente disposti ai lati
del trono, come ciò, del resto, fu comune a quasi tutti i quattrocentisti, compresi anche
i ferraresi, da cui e il Francia e il Palmezzano, direttamente o no, par che derivano.

Però, mentre il nostro Marco si mostra al Francia di gran lunga inferiore nella verità
e morbidezza delle carni, non così deve dirsi nei panneggi, benché vi si appalesi talvolta
meno largo e meno maestoso di forme; ma lo eguaglia nell'architettura e nella prospet-
tiva, nella verità e lucentezza del paese, nell'azzurro del suo cielo, sempre limpido e lumi-
noso. Certo per queste qualità personali il Palmezzano spicca su tutti gli altri maestri

1 Nella sacrestia di San Mercuriale è una prege-
vole tela, in cui è rappresentato l'incontro della
Vergine con Santa Elisabetta ; dietro queste è la
figura di un santo vecchio (San Giuseppe?), mentre
dall'altra parte è quella di una giovane ancella. Il
quadro è stato finora, ma senza ragione, attribuito
a Cosimo Tura. Noi vi riscontriamo il l'are di Bar-
tolomeo da Forlì, tanto per i tipi angolosi nelle
figure dei vecchi, quanto per la maniera del piegare,
specialmente nelle vesti di Santa Elisabetta. I ca-
ratteri poi del forlivese Bartolomeo si riscontrano
più propriamente nella testa del santo, che appunto
ricorda molto davvicino quella del San Girolamo
dello stesso pittore, in Pinacoteca, con quella me-

desima barba bianca, la carnagione scura, e quel
che di oleoso, di cereo che troviamo nel colore. Al
contrario, se bene osserviamo, nello sfondo della
scena, il tempio circolare e quella parte di palazzo
ricco di bugne, oltre le figurine, sempre indietro,
che si vedono a sinistra del quadro, noi vi troveremo
qualche cosa della maniera del Rondinelle

Tale opera quindi appartiene, se non erriamo,
ad un artista secondario, imitatore di Bartolomeo
e del Rondinello, certo ad un quattrocentista in ri-
tardo.

Senza altra prova più sicura, è ben difficile, ad
ogni modo, indovinare il nome dell'artista che le
dipinse-
 
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