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Archivio storico dell'arte — 7.1894

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Fasc. III
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https://doi.org/10.11588/diglit.19206#0268

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226

RECENSIONI

in discorso, dei manoscritti miniati. Ad essi ap-
partiene il primo posto, così per ragione di priorità
di tempo, come per preponderanza numerica; es-
sendo il più antico manoscritto illustrato della Di-
vina Commedia di cui si può fissare con certezza
la data, eseguito nel 1333, cioè appena sedici
anni dopo il compimento del poema stesso, e re-
gistrando l'autore di simili opere soltanto in Italia
e Germania (giacché non ebbe occasione di esami-
nare quelle custodite nelle biblioteche francesi e in-
glesi) oltre settanta. Egli divide le opere rispet-
tive in due gruppi di cui il primo prosegue lo
scopo d'illustrare, nel senso più stretto, il poema,
di raccontarlo quasi di nuovo col mezzo di disegni
o di pitture, mentre il secondo contiene i mano-
scritti compartiti da un numero maggiore o minore
di miniature proprie, destinate a ornare piuttosto
che a spiegare il testo del poema, a prestargli un
aspetto ricco e nobile. Entrano in questa categoria
quei suntuosi codici, capolavori dell'arte di scri-
vere e di miniare, di cui il più celebre è quello
della Vaticana, eseguito per conto del duca Fede-
rico di Montefeltro da due diversi artisti ; il primo
che lo cominciò fra gli anni 1476 e 1482, appar-
tenente secondo l'opinione dell'autore alla scuola
ferrarese o almeno influenzato moltissimo dalla
maniera di essa (specialmente da quella di Fran-
cesco Cossa) ; il secondo che lo compì molto più
tardi dopo la morte del duca Federico, e che si
ritiene, benché erroneamente, essere stato il rino-
mato miniatore Giulio Clovio (il nostro autore in-
clina a ravvisarvi piuttosto la mano di Cesare
Pollini di Perugia (1560-1630) di cui si trovano
miniature nella Pinacoteca, nel Museo dell' Univer-
sità, e in Sant'Agostino di quella città; però non
si può affermare di certo ch'egli abbia lavorato
per conto del duca Fr. Maria II d'Urbino). Dei
codici appartenenti a questa categoria l'autore ne
enumera e descrive parecchi altri, cominciando da
quello molto curioso nella Riccardiana (n. 1005)
della prima metà del Trecento ; e riassume il suo
giudizio nel constatare che con essi non fu prestata,
né poteva essere prestata opera definitiva per l'il-
lustrazione della Divina Commedia, poiché l'arte
della miniatura, lontana dall'essere una delle arti
principali, fino agli ultimi tempi del Quattrocento
era piuttosto in ritardo, e quando all'epoca accen-
nata giunse a un più alto grado di sviluppo, al-
lora aveva pure suonato la sua ora suprema, giacché
le arti riproduttive, l'incisione in legno e in rame,
occuparono vittoriose il suo posto. — Il carattere

distintivo delle illustrazioni appartenenti al primo
gruppo di codici, l'autore lo definisce così : " Le
singole illustrazioni nella composizione non sono
consustanziali, soggette a un solo punto di vista:
non sono rappresentazioni di una certa situazione,
ma illustrazioni le quali, per mezzo di singole
scene che passano, si confondono una nell'altra,
circonscrivono il progredimento, l'avanzamento del-
l'azione raffigurata. Da una situazione nasce già
la seguente, da questa una terza, forse anche una
quarta, tutte però comprese nello stesso quadro. „
Questa maniera di raffigurazione era la sola che
fosse adatta pel contenuto enorme della Divina
Commedia ; ed infatti la vediamo adoperata da tutti
gli artisti che si propongono d'illustrarlo per in-
tiero, cominciando dall'autore del codice della Lau-
renziana (Pluf. 40, n. 7), miniato nella prima metà
del Trecento, fino al Botticelli. Il nostro autore
esaminando e descrivendo i principali codici di
questa categoria, ne trae la conclusione che per
quanto grande sia il merito artistico di alcuni di
essi, nessuno era capace di giungere alla rappre-

; sentazione artistica, affatto degna del comune loro
modello. Non era ancora abbastanza sviluppato il
fare tecnico, il dominio sulla forma, per potere
inspirare alle composizioni figurative quella vita
grandiosa che si spande per tutto il poema dan-
tesco, per poter rivestire le sue scene grandiose di
forme pure grandiose. Per arrivare a ciò fu d'uopo

i che l'arte s'ispirasse ad un nuovo genio, il genio
del Rinascimento, e che una individualità potente
d'artista si accingesse a quel compito. Questi fu
il Botticelli, delle cui composizioni conservate nel
Museo di Berlino, l'autore tratta succintamente,
caratterizzandole e assegnando loro il posto nel-
l'evoluzione della rappresentazione figurativa del-
l'eterno poema. Tocca poi della loro riproduzione
— non diretta e servile, ma libera — nelle stampe
dell'edizione fiorentina del 1481, ascritte al miste-
rioso Baccio Baldini, e ne rivela l'importanza,
maggiore dal punto di vista storico che da quello
artistico, imperocché da esse si rileva quanto uni-
versale dovette essere il desiderio di possedere un
Dante illustrato, se la nuova arte dell'intagliare,
appena ritrovata, vi fu senza indugio adoperata.
E prima di arrivare al Cinquecento, accenna bre-
vemente alle cinque edizioni ornate di incisioni in
legno, di cui la più antica, stampata a Brescia da
Bonino de' Bonini nel 1487, è, per gran parte, una
imitazione delle stampe della edizione fiorentina
del 1481, mentre delle quattro edizioni veneziane
 
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