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Archivio storico dell'arte — 1.1888

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Fasc. II
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Ricci, Corrado: Lorenzo da Viterbo, [1]
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Fasc. III
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Venturi, Adolfo: Gian Cristoforo Romano, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17347#0112

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30

LORENZO DA VITERBO

ossia dai ventuno ai venticinque circa. Sono finalmente conosciuti, e credo che nessuno possa
mettere in dubbio che gli epigrammi prodotti ed altri che produrrò provino chiaramente che,
quando furon scritti, il pittore era già morto. N'è prova esser scomparsa di lui ogni traccia,
n'è prova la specie di rimpianto e di maraviglia che informarono il magro poeta che dettò
quei distici.

Nicola della Tuccia scrive: « Nardo (Mazzatosta) di sua propria pecunia fé' fare una
onorevole cappella nella chiesa di Santa Maria della Verità ove sta l'immagine di Nostra
Donna, e pinta e ornata per mano di mastro Lorenzo figliolo di Jacopo di Pietro Paulo di
Viterbo abitante presso alla porticella, la quale va alla chiesa della Trinità in piano di Santo
Faustino 1 ». A primo aspetto questo cenno su Lorenzo potrebbe far credere che questi fosse
sopravissuto d'assai al lavoro, ossia al 1469. E vero che sarebbe facile riferire le parole abitante
presso alla porticella ecc. solamente al padre di lui Jacopo, ma io sono convinto che Nicola in
tal caso avrebbe, magari con una sola parola, con un semplice quondam, designato che,
quando egli scriveva, Lorenzo era morto.

Questa volta per fortuna la critica non è costretta ricorrere ai cavilli, perchè dal testo
della cronaca appare assolutamente sicuro che Nicola scrisse quelle parole appena finito il
dipinto, ossia nello stesso 1469, e solo per registrare che Lorenzo vi fece, come si vedrà,
anche il suo ritratto. Prima infatti registra un avvenimento del 18 aprile 1469 2. Dopo, un
ricordo del 30 ottobre del medesimo anno 3. Dunque la memoria che riguarda Lorenzo fu
scritta fra quelle due date. Ma se si pensa alla natura delle cronache e dei fatti registrati
man mano che avvenivano, se si pensa alla vanità premurosa e sollecita di Nicola a mandare
ai posteri ricordo della sua imagine, c'è a ritenere ch'e' registrasse quella memoria allo stesso
26 d'aprile del 1469, in cui, come egli dice, Lorenzo dipinse il suo ritratto. Dunque nulla
toglie che il nostro giovine pittore non possa esser morto, come s'hanno tutte le ragioni a
congetturare, in quello stesso anno. Nicola non s'occupa mai più di lui. Non ne registra nep-
pure la morte, simile in questo a quasi tutti i cronisti italiani, pertinaci raccoglitori di vicende
politiche e religiose, di paurose leggende e di strani miracoli, ma incuranti d'ogni notizia artistica.

Stabilite così le date, potrò seguire più logicamente gli affreschi di Lorenzo. In nessun'altra
opera di pittore italiano si mostra forse più palesemente il progresso fatto da un pittore nel
procedere d'una stessa opera. Non v'ha dubbio esser le vòlte dovute al medesimo pennello
che s'affermò splendidamente collo sposalizio della Madonna. In questo sono ancora le ultime
traccie dei difetti che si riscontrano in quelle, come in quelle si scorgono in germe le bellezze
che regnano in questo. Le teste senili dei Santi e dei Profeti delle vòlte sono in gran parte
convenzionali. I muscoli della faccia ricercati, marcati e poche volte a posto. I capelli e la
barba consistono in un'antipatica e simmetrica serie di lucignoli serpeggianti e tosati in tondo.
Lo stesso difetto, un po' temperato, è nelle cinque o sei teste barbate che si veggono nello
sposalizio della Madonna.

Notevolissima è invece, quantunque non ancora felice, la ricerca nel panneggiamento. I
partiti delle pieghe dei manti e delle toghe in genere sono ragionevoli, e si vede che l'artista
facendo i cartoni li traeva dal vero, ma poi traducendoli negli affreschi li impiccioliva, li
spezzava o suddivideva in pieghe più minute e più trite, sino a dar loro un aspetto conven-

1 II passo di Nicolò della Tuccia che riguarda Lorenzo da Viterbo fu pubblicato da C. F. von Rumohr si n
dal 1827, a pag. 202 del voi. II delle Italienische Forschungen.

2 Nicola della Tuccia scrive semplicemente: « Adì 18 aprile venne in Viterbo il vescovo di Lucca per
governatore, mandato da Papa Paolo II e smontò in S. Francesco. Era chiamato messer Stefano. » (V. a p. 96).
Il Bussi determina chiaramente : « 1469. Stefano Trenti cittadino e vescovo di Lucca, Governatore con potestà
di legato a latere, e con osso Pietro Santi di Tommaso Severi da Rieti podestà. » (V. a p. 389).

3 Pag. 97.
 
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