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Archivio storico dell'arte — 1.1888

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Fasc. VI
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Gnoli, Domenico: Le demolizioni in Roma: il palazzo Altoviti
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https://doi.org/10.11588/diglit.17347#0308

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210

IL PALAZZO ALTOVITI

In mezzo alla parete incontro alla loggetta era il busto di Lindo, opera di Benvenuto Gelimi.
Egli narra nella sua Vita d'esser venuto a Roma, nei primi anni del pontificato di Giulio III, cioè
poco dopo il 1550, appunto per quel ritratto. « E la cagione, perchè andai, si fu, che avendo
fatto a Lindo d'Antonio Altoviti un ritratto della sua testa, grande quanto lo proprio viso, di
bronzo (e gliel'avevo mandato insino a Roma), questo suo ritratto egli l'aveva messo in un suo
scrittojo, il quale era molto riccamente ornato di anticaglie ed altre belle cose; ma il detto scrit-
telo non era fatto per isculture nè manco per pitture, per dire il vero; le finestre venivano sotto
le dette bell'opere, di sorte, che, per aver quelle sculture e pitture i lumi al contrario, le non
mostravano bene, in quel modo ch'elle avrebbon fatto s'ell'avessino avuto i loro ragionevoli lumi. » 1
Ed era proprio così; poiché la copertura della loggia impedendo la luce dall'alto, essa saliva ri-
flessa dal fiume illuminando gli oggetti di soft'in su. Segue a narrare il Celimi che « un giorno
s'abbattè il detto Lindo a essere in sulla sua porta, e passando Michelangelo Luonarroti, scultore,
ei lo pregò che si degnasse d'entrare in casa sua a vedere un suo scrittojo, e così lo menò. Su-
bito entrato disse: Chi è questo Maestro che vi ha ritratto così bene e di così bella maniera? »
E segue a far lodare da Michelangelo l'opera sua, riportando una lettera ch'egli dice essergli
stata scritta da Michelangelo a questo proposito. Andò dunque il Celimi, come già il Vasari, ad
abitare in casa di Lindo; ma per una differenza intorno a certo danaro di Benvenuto ch'egli
aveva in mano, « mai si mostrò chiaro, anzi stava ingrugnato » e vennero alla fine a questa
conclusione, che Lenvenuto perdè la fattura e il bronzo del suo ritratto, e convennero che il da-
naro restasse presso Eindo, il quale ne avrebbe corrisposto al Celimi il quindici per cento, vita
naturale durante. « Io fui chiaro, dice il Celimi, di che sorta è la fede de' mercatanti, e così mai-
ri e' Toscani per ammazzarlo : et perchè fallò ammazzando un altro, ne pose la sua destra al fuoco, e la lasciò
intrepidamente ardere.

La terza è un Augusto ignudo.

La quarta è uno Antonino Caracalla. Questo imperatoro fu molto cattivo, perchè ammazzò il proprio fratello,1
travagliò molto il suo padre stesso ; e fu cosi libidinoso, che non la perdonò a la sua stessa matregna. Ma egli
fu finalmente morto nella impresa contro Persiani stando ad evacuare il corpo, et havendo sei anni solamente
regnato.

La quinta si tiene volgarmente che sia di Giulio Cesare; alcuni altri credono che sia Marcello che vinse
Siragosa.

La sesta è di Faustina già vecchia, e vestita.

La settima è di Opilio Macrino Imperatore di Roma e successore di Caracalla : ma non ne tenne più che
XIIII mesi l'impero, senza oprare cosa degna mai. Questa testa e petto è vestito et armato.

La ottava dicono che sia di Mario, che fu sette volte Consolo, benché nascesse bassamente in Arpino.

Qui è una bella testa antica di Satiro.

La nona testa è di donna, e non si sa di chi.

Qui è un bel Cupido alato moderno, che dorme e tiene un Lupo in braccio. Vi è anco una tavola marmorea
moderna, dove si vede Danae ignuda giacere di mezzo rilevo. Di Danae si innamorò Giove; et perchè era da
suo padre dentro un forte castello tenuta rinchiusa et guardata, Giove si converti in oro, e le piove dalle tegole
del tetto nel grembo e l'ingravidò.

L'ultima testa non si sa di chi fusse.

Giù poi a basso in una camera, si vede dentro un nicchio la statua d'una donna vestita; ha un drappo in
testa, et un paio di polli in mano. Credono alcuni che sia l'Autunno, una delle quattro stagioni dell'anno.
Nel frontispicio della porta si vede sopra una porticella una testa antica col collo; non si sa di chi sia.
Qui giace a terra un torso antico ignudo.

E anco qui una statua di donna vestita; ma le manca la testa et una mano.

Vi si vede anco una pila grande con varie figure di mezzo rilevo iscolpite, di gente a piè et a cavallo, in
atto di combattenti.

Si vede anco sopra un pezzo di marmo una figura ignuda di mezzo rilevo, la quale ha nella mano sinistra
la veste avolta, e nella man destra un brieve, et è moderna.

Vi è anco una tavola di porfido con lettere maiuscole intagliate.

Vi è finalmente una testa di Roma col petto moderno; ha un elmo con la penna in testa, pure moderno.
1 B. Cellini: Vita. Lib. IV, cap. VI.
 
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