Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

Archivio storico dell'arte — 1.1888

DOI Heft:
Fasc. IX
DOI Artikel:
Fumi, Luigi: Gli alabastri nelle finestre del duomo d'Orvieto e la vetrata a storie nella finestra grande di tribuna
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.17347#0456

DWork-Logo
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
;!K>

GLI ALABASTRI NELLE FINESTRE DEL DUOMO D'ORVIETO

rapporto ai principi dai quali è formato, secondo il Ripetti, 1 forse si avvicinava di più all'antico.
Di fatti gli alabastri del duomo di Orvieto furono ritenuti nelle più vecchie descrizioni del xvi
e xvn secolo per orientali e della stessa qualità di quelli greci; e l'ammirazione che essi destavano
era grande in tutti i visitatori. Uno dei quali, nel secolo xvn, lasciò scritti questi versi:

Nunc age : secta nitent lucentibus atria rimis
Fulgidaque in tenues aptant alabastra fenestras
Mirum opus: excipiunt radiantia lumina cautes
Interiore sinu duro formata metallo
Marmora ad exactam discunt mollescere lucem.

E veramente questo è l'ufficio loro: temperare la luce e trasmetterla uniforme. Gli antichi
tempi pagani, come afferma Luciano, non lasciavano penetrare la luce se non dalla porta. Lo stesso
Pantheon di Roma vuoisi senza l'apertura al vertice della cupola, fatta dai cristiani di poi. Le nostre
chiese infino al secolo xn ebbero rare le finestre, e piccole e strette. Le più antiche di Orvieto,
come San Giovenale, Sant'Andrea e San Lorenzo, hanno aperture anguste terminate a forma di
mezzo cerchio o anche in piano a modo di feritoia. In quelle di architettura posteriore e piegate
all'ogivo, più aperte e molto allungate, si hanno rosoni e frastagli su sesto acuto, quasi ad imitare
la luce interrotta per i rami incurvati e le foglie dei grandi alberi nelle selve settentrionali, dai
quali rami, secondo alcuni scrittori, l'architettura religiosa, comunemente detta gotica, avrebbe
tolta la sua primitiva idea. Ora, se in un tempio di quello stile sono finestre in gran numero, dove
sia da cercare la moderazione della luce, egli è il duomo di Orvieto. Tre sono in facciata con un
grande occhio in alto : nove nelle navi di fianco alternate da dieci finestrette sugli emicicli ; dodici
grandi in alto sulla nave mediana; la grande di tribuna e i due occhi laterali; due trifore, ora chiuse,
dietro agli altari del calcidico; due grandi occhi, pure chiusi, sopra alle cappelle, e due altri occhi
su i valichi delle navi minori: in tutto non meno di quarantaquattro aperture, oltre la luce immessa
per sei grandi porte. Mancherebbe come disporre l'animo a quel devoto raccoglimento che suole
essere il pregio principale dell'ogivo. A ciò fu provveduto limitando la luce in basso, dove appunto
si spande di più. Gli alabastri servono benissimo a questo fine. Non si dica che a questo fine si
volessero far servire soltanto come più facile e provvisorio mezzo, perchè allora sarebbesi adope-
rata la tela incerata, le impannate e le pelli di capretto che tramandavano la stessa luce giallognola
degli alabastri. Basterà riportare le seguenti memorie, una del secolo, anzi degli anni stessi della
edificazione della nostra chiesa, e l'altra del secolo xv, continuazione di usi non interrotti per un
lungo corso di tempo. Nel libro delle spese di camera di papa Bonifacio VIII, nell'aprile 1299, si
trovano registrate le spese di finestre per il palazzo papale di Anagni, che erano di tele di lino a
cera.2 In un libro dell'archicenobio di Montoliveto maggiore pressò Chiusurre, cosi si legge sotto
la data 6 novembre 1446 : « Per tre capretti e per cinque pelle di pecora per fare finestre impanate
et per olio di semelino... ».3 Chi non riconosce poi che le tele a trementina e le pelli unte con olio
di seme di lino ridanno appunto la stessa luce delle pietre di alabastro senese ? Quella luce pallida,
opaca, giallognola, che a noi non piacerebbe oggi, era dunque la più comunemente voluta e usata
nei tempi antichi.

Fin qui degli alabastri. Ma ora v'ha chi appone non convenire ad essi la sovrapposizione di
vetrate a figure o storie a colori. Perchè, piuttosto, non si ha da spingere fino all'estrema punta
del sesto acuto in cui termina la finestra, quella stessa pietra trasparente ? Questa non fu, a me
pare, la mente dell'architetto. In facciata, dove tutto doveva essere marmo e fino marmo, dove
le vetrate avrebbero interrotta la vista dei riguardanti di fuori, quasi macchie scure, come so-
gliono dare i vetri all'esterno, gli alabastri chiudono tutta la luce delle finestre. Ma non così nelle
navi laterali. Qui la parte superiore delle finestre è, come si disse, ornata di rosoni e frastagli di
travertino, pur essi adatti a moderare la luce e a dare vaghezza d'aspetto. Le tavolette, coprendoli,

1 Dizionario geografico, fisico, storico della Toscana, voi. I, pp. 2, 3.

2 Theiner, Codex diplomaticus domimi temporalis S. Sedis, voi. 1, p. 365.

3 De la pratica di comporre finestre a vetri colorati. Trattatello del secolo xv, edito per la prima volta (dall'Arch.
di Stato in Siena, signor Alessandro Lisini). Siena, 1885. p. 7.
 
Annotationen