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Archivio storico dell'arte — 6.1893

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Fasc. I
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https://doi.org/10.11588/diglit.18092#0109

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RECENSIONI

71

porre, quivi si fosse trovato suo padre. E il chia-
rissimo autore fa torto all'abituale sua acutezza
di critico quando scrive : « Se fu veramente Gio-
vanni di Bartolo da Siena lo artefice che eseguì
la statua di Sant'Agata, questa non potè essere fatta
che in Avignone. Se però l'artefice fu Giovanni Bartolo
da Ceva ('?), allora io inclino a credere che la
statua suddetta fu eseguita in Limoges ». E chiaro
che d'un presunto orafo da Ceva (e chi sarebbe
costui? quali le sue opere?), a nome Giovanni, si
sa meno che dell' altro, e molto meno poi se ri-
siedesse a Limoges piuttosto che altrove !

Ma se in questa parte della sua monografia
lo Sciuto-Patti non riesce a infirmare seriamente,
secondo noi, la tradizione che attribuisce la statua
a Giovanni di Bartolo e le conclusioni del Muntz,
felicissima invece ci sembra la critica rigorosa a cui
sottomette l'altra tradizione che vorrebbe opera dello
stesso Giovanni anche Varca o scrigno delle reli-
quie, condotta a compimento per cura e a spese
dei due vescovi Marziale ed Elia, in Avignone.
Tale notizia, contro il concorde parere degli scrit-
tori patrii, dal chiarissimo autore è dimostrata in-
sussistente : perchè in tutto il corpo del reliquiario
non esiste inscrizione o stemma o sigla che ac-
cenni all'epoca, all'artista o ai due vescovi; mentre
invece in più d'un punto vi si riscontra il blasone
della famiglia Paterno, catanese; il che prova che
quella famiglia vi concorse, ed esclude Marziale
od Elia; inoltre nei pezzi d'argento della decora-
zione è incisa una sigla, impressa da un piccolo
punzone con l'effigie àélVelefanie, emblema della
città di Catania, la quale esclude Avignone ed
ogni altro luogo. Probabilmente il lavoro fu com-
messo da un'antica istituzione, della quale lo Sciuto-
Patti reca un documento per altro posteriore di
un secolo, cioè Vopera dello scrigno, il cui scopo,
almeno nel secolo xvr, era il compimento della
cassa. E potè essere eseguito da un Giovanni e Bar-
tolomeo Vitale, pure limosini, dei quali parlano il Di
Marzo (V. I Gagini e la scultura in Sicilia, ecc., pa-
gina 604) ed il Muntz medesimo (Giovanni di Bar-
tolo da Siena, nota alla p. 19). Questi tenne gran
conto delle erudite ricerche dello Sciuto-Patti, e
si uniformò alle conclusioni di lui, ripetendo che
« la cassa è da cancellarsi ormai dal novero delle
opere di Giovanni di Bartolo (V. memoria cit. nella
Revue de l'Art chretien) ». Per ciò che riguarda il
coperchio, che è del 1579, l'autore ne suppone come
più probabile artefice Paolo Guarita, valente orafo
catanese che fioriva in quell'epoca.

Finalmente anche al bellissimo ferculo, o bara,
cominciato intorno al 1550 e compiuto verso il 1660,
contribuirono più artisti che non si ricordino dagli
storici municipali : incaricati dell'opera dello scrigno,
lo costruirono Vincenzo e Antonino Archifeli, famiglia
di orafi di gran rinomanza in Sicilia; il principale
artista poi che lavorò ai quadri e ad altre parti
del ferculo fu Paolo Aversa, della prima metà del
secolo xvii, ma non ne fu certo il primo, in ordine
di tempo, nè l'ultimo artefice. Di lui si legge in-
ciso più volte il nome; ma a lui, confuso forse con
altri Aversa, si attribuirono lavori certo eseguiti
da altri, anteriormente o in tempo posteriore.

Appunto di questo ferculo si tentò e si compì,
in gran parte, la vandalica spogliazione, da un'as-
sociazione di ladri, nel 1891; ma, scoperti e con-
dannati i colpevoli, la indignazione e insieme la
pietà cittadina ha saputo generosamente provvedere
per una pronta riparazione e per un conveniente
restauro.

In tal modo, reso conto delle accurate inda-
gini del chiarissimo cav. Sciuto-Patti, pur rilevando
per debito d'imparzialità che la forma del suo
| scritto (a cominciare da quell'ambiguo titolo di ore-
ficerie), sia per molti costrutti dialettali e provin-
cialismi, sia per troppi errori di stampa, lascia pa-
recchio a desiderare, non rimane che rallegrarci
con l'archeologo siciliano dell'amorosa cura onde
si è dato ad illustrare la storia artistica della sua
classica terra.

Annibale Campani.

Or. Uberto Valentina. Il governo razionale delle pi-
nacoteche, desunto dalle teorie e pratiche di Massi-
miliano dott. Pettenkofer. — Udine, U. Del Bianco,
1892.

L'A., premesso che la conservazione delle pi-
nacoteche e musei è trascurata e che l'ammira-
zione della grande maggioranza di cittadini per le
cose d'arte non è sincera, per lo che non si pensa
a costituire forti dotazioni per le raccolte nazio-
nali, crede opportuno studiare i più economici, ma
pure efficaci provvedimenti atti a togliere le prin-
cipali cause dei deperimenti delle pitture raccolte
nelle nostre gallerie, deducendo i ripari da quelle
! leggi che dettò il prof. M. Pettenkofer.

In verità FA. erra nel!'asserire che i nostri
musei difettano delle cure e dotazioni necessarie
alla loro conservazione, giacché in questi ultimi
 
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