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Archivio storico dell'arte — 6.1893

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Fasc. III
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Frizzoni, Gustavo: I capolavori della Pinacoteca del Prado in Madrid, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.18092#0221

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183

sui primi del Cinquecento dipingevano a Valenza e luoghi prossimi due pittori italiani Fran-
cesco Pagano nativo di Napoli e Paolo da San Leòeadio di Reggio di Lombardia. Mentre
delle opere loro si sono conservate alcune traccie in paesi appartenenti alla provincia di
Valenza, sgraziatamente sono andate distrutte le pitture con cui ebbero a decorare le pareti
della cappella maggiore ossia del coro della cattedrale di Valenza. Quivi però limane tut-
tora un'opera interessantissima e di carattere eminentemente italiano nei dodici grandi
riparti onde si compongono le ante con cui si chiude l'altare d'argento.

È bensì vero che figurano come autori dei medesimi due pittori locali, Fernando
de los Llanos e Fernando Yanez, ma quei loro dodici quadri dimostrano ad evidenza,
com'ebbi a constatare de visu, ch'ossi si inspirarono a concetti ed a modelli tolti dalla scuola
milanese e di Leonardo da Vinci.

In attesa che venga l'atta maggior luce in proposito non ci paiono da trascurare queste
circostanze per ispiegarei l'impronta per buona parte italiana che portano le opere di altro
pittore di quella regione, il noto Juan de Juanes, di cui il .Museo del Prado possiede ben
parecchie opere. Egli che visse in pieno Cinquecento, se non erro è il più lino e più ag-
graziato pittore della Spagna in detto secolo, per quanto si debba dire che sia riescito meglio
nelle piccole cose che nei quadri di maggiori dimensioni, dove apparisce stentato, duro e
povero di spirito.

in un piccolo tondo della Galleria di Madrid dove è rappresentata l'Incoronazione della
Vergine accompagnata dalle gerarchie dei beati egli dispiega anzi delle qualità da accurato
miniatore. In due altri tondi quivi, coi soggetti della Visitazione e del Martirio di San-
t'Agnese dimostra un eccletismo garbato, tutto compenetrato da riminiscenze italiane
lombarde e raffaellesche ad un tempo. In complesso ha sempre un l'are tendente al rigido
e al compassato, da trovare riscontro fra noi nelle qualità di un pittore quale fu Inno-
cenzo da Imola e simili.

All'occorrenza il Juanes sa essere un buon pittore di ritratti, ma i soggetti religiosi
sono quelli ch'egli preferisce: freqùenti e vantati in [spagna quelli della Santa Cena e del-
l'Ecce Homo. Le sue cose migliori vedonsi in alcune chiese di Valenza.

Comunque sia, egli non vorrà mai essere noverato fra gli artisti più originali della
Spagna, o, per meglio dire, le sue opere dimostrano che in quel paese non si era per anco
formata un'arte pittorica ben improntata di caratteri propri, mentre l'influenza italiana da
un lato e la fiamminga dall'altro, sempre si fanno sentir*1 tanto nei quadri suoi quanto in
quelli di altri suoi compaesani.

Sottoponiamo al giudizio dei migliori intelligenti se debba essere ritenuta opera di lui
o meno una tavola firmata col nome di Joaes Tspanus che diamo unitamente riprodotta da •
una fotografia del signor Luigi Dubray. Il quadro trova vasi per l'addietro nella chiesa delle
monache del Gesù in Milano, indi passò in proprietà dei marchesi d'Adda, abitanti in quel
luogo. Nelle figure del Cristo morto, disteso sul suo sepolcro, e delle quattro pie persone
che lo circondano non si può negare che apparisca una certa quale aria peruginesca; il pae-
saggio tuttavia ne differisce intieramente. Diversa, infatti la conformazione delle piante,
diversa quella dello sfondo e delle scoscese alture, sulle quali poi si vedono case e castella
di struttura che tiene alquanto dell'oltremontano, coi tetti acuminati e le torri rotonde. In
tutto ciò non essendovi nulla che s'accordi collo sfile del nolo pittore di scuola umbra, Gio-
vanni detto lo Spagna, rimarrebbe a vedersi se sia opera del Juanes o di altro pittore Giovanni,
di patria spaglinolo. Se è del Juanes, dovrebbe appartenere alla sua gioventù, poiché in
tutto quello che si vede di lui in Ispagna egli mostra un fare più progredito e dei tipi di
un'epoca più matura con impressioni essenzialmente raffaellesche.

Per verità non è difficile constatare che durante tutto il Quattrocento e la prima metà

sore Carlo Justi, intitolato: « Das Geheimniss der leo- Repertorium fur Kunstivissenschaft (XVI Band, 1 und
nardesken Altargemalde in Valencia », pubblicato nel 2 Heft).
 
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