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Archivio storico dell'arte — 7.1894

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Fasc. I
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Malaguzzi Valeri, Francesco: La collezione delle miniature nell'Archivio di Stato di Bologna
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https://doi.org/10.11588/diglit.19206#0054

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Dopo aver parlato dei codici miniati nell'ultimo periodo in cui la miniatura è ancor
fiorente, farcino ora cenno della ricca collezione dei Rotuli dello Studio (1438-1799), nella
ipialc pure L'Archivio possiede un materiale ricchissimo per l'esame della miniatura bo-
lognese nel rinascimento. Sono questi rotuli grandi pergamene in cui scrivevansi gli
elenchi delle persone che dai riformatori dello Studio con approvazione degli Anziani, dei
sedici riformatori, del legato, del Senato o di altra autorità secondo i tempi, eran chiamale
anno per anno a leggere pubblicamente nello Studio di Bologna. La loro importanza arti-
stica non è inferiore alla grande loro importanza storica.

In questi rotuli la parte ornamentale consiste principalmente nei lunghi fregi cui dà mo-
tivo 1' I iniziale della prima frase In nomine Domini, ecc. (V. tav. Vili). Le figure vi man-
cano affatto, ma in compenso l'arte decorativa vi è profusa fino ai primi anni del secolo xvi
col buon gusto e la corretta eleganza di cui solo il rinascimento conosce il segreto. Da
prima in proporzioni modeste, questi fregi, che ornano costantemente il margine sinistro
delle grandi pergamene, si vanno poco a poco allungando ed arricchendo, e nell'ultimo
ventennio del quattrocento giungono al colmo della finezza e danno modo ai miniatori,
purtroppo ignoti, di rivelare tutta la loro grandissima fantasia e accuratezza. Crediamo
che nessun'altra collezione abbia esempi di fregi miniati in così grandi proporzioni e nello
stesso tempo tanto accurati : queste grandi candeliere fantastiche, quasi sempre su fondo
d'oro, rappresentano il colmo dell'arte decorativa bolognese nell'epoca aurea della minia-
tura. Alle sole candeliere però sembra che i vari artisti abbiano dedicata tutta la magia
del loro pennello. La figura del San Petronio che nel margine superiore si ripete costan-
temente in mezzo agli stemmi del Comune, del popolo di Bologna, del papa e del legato,
non mostra quasi niun progresso e ripete un motivo convenzionale della scuola. Da questo
fatto e dall'esame delle miniature veramente bolognesi di quel tempo che ne rimangono,
parrebbe che i miniatori di questa regione si dedicassero con più facilità e con più amore
alla parte ornamentale che alla figurativa. Neil'eseguire gli eleganti fregi che girano intorno
alle pagine, nel colorire le ricche candeliere dei libri di giurisprudenza e dei corali, l'ar-
tista bolognese sembra porre più cura e più sicurezza che nel disegnarvi figure. Anche
nella fine del quattrocento, quando, per esempio, i miniatori fiorentini riproducono sui
principi dei loro codici entro le ricche cornici architettoniche ornate di medaglioni di gusto
antico, di cammei, di putti e di gemetti quelle figure i cui visi sono veri ritratti, i bolo-
gnesi si limitano per lo più a mostrare l'arte loro arricchendo un fregio marginale o uno
svolazzo fantastico. Questi stessi rotuli dell'Archivio di Stato, che per la loro indole e per
le loro dimensioni si potevano prestare benissimo ai nuovi gusti della rinascenza, con me-
daglioni e trofei allusivi alle arti, alle scienze e al passato glorioso della città, riproducono
invece fin verso la fine, svolazzi di fantasia, fogliami, rabeschi o tutt'al più qualche putto
poggiato qua e là sulle volute delle grandi foglie.

Anche in questi rotuli dopo i primi anni del cinquecento l'arte vera accenna a deca-
dere. Lo sviluppo raggiunto dall'intaglio in legno e dalla sua introduzione nei libri a
stampa formò la più dannosa concorrenza commerciale alla miniatura che, venutale meno
la sua prima ragione d'essere, finì per scomparire quasi totalmente. Così le miniature cin-
quecentistiche mancano di quella originalità e di quella grazia che ne erano state le at-
trattive nel secolo precedente. Le composizioni riproducono i quadri dei pittori e se per
qualche tempo sono ancora accurate e corrette, ben presto finiscono col cedere il posto a
una pittura affrettata e chiassosa non più adatta ai ristretti confini della pagina di un
codice. Nella fine del cinquecento poi e nei secoli successivi, alla miniatura, se ancor così
può chiamarsi, non resta altro ufficio che quello di ornare in via eccezionale qualche libro
raro o da coro, qualche bolla pontificia, i diplomi di nobiltà e simili.
 
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