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Archivio storico dell'arte — 7.1894

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Fasc. V
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Calzini, Egidio: Marco Palmezzano e le sue opere, [3]
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EGIDIO CALZINI

del santo a' piedi della stessa forca, come il compagno torni in vita per opera prodigiosa
del medesimo santo.

In fondo al quadro è un bellissimo paesaggio con il solito cielo luminoso sotto cui
sono riprodotti i monti del nostro Appennino.

Sul davanti, a destra di chi guarda, e con figure più grandi della metà del vero, è
è ancora San Giacomo in ginocchio, a mani giunte, nell'atto di essere decapitato ; vicino
a lui alcune guardie. L'ultima di esse, quella a destra, è uguale, come si disse a suo luogo,
al San Valeriano che è in Pinacoteca. Lo Schmarsow assevera che tale figura, nell'affresco,
rappresenta con certezza il giovane Giacomo Feo in costume francese importato allora in
Italia, nel 1494, per la venuta di Carlo Vili.

Nelle tre grandi figure a sinistra si è creduto sino ad oggi, ma con poco fondamento,
di vedere i ritratti del Melozzo, di Sigismondo ferrarese, matematico e amico del Palmez-
zano, e di questo stesso maestro. 1

Il Casali dice che l'affresco del Palmezzano fu eseguito nel 1505, ed il Reggiani
nel 1510. Il primo anzi soggiunge che ciò sia avvenuto con i cartoni lasciatigli dal maestro,
ed anche lo Schmarsow chiama il Melozzo autore della maggior parte di questa cap-
pella ed esecutore della metà superiore, poiché vi trova lo spirito e la maniera grandiosa
di lui. Noi invero non troviamo alcuna ragione per dedurre che il Palmezzano debba aver
lavorato ad es. nella grande parete, con i cartoni del Melozzo, troppo chiara essendo la diffe-
renza di stile e di maniera, per quanto vi si scorga la derivazione del maestro, e troppo
diversi i tipi delle figure ove l'artista s'appalesa accurato e valente, ma più debole in con-
fronto alle pitture della cupola superiormente disegnata dal Melozzo e dipinta dall'allievo.
Solo due figure, secondo il Venturi, col quale siamo d'accordo perchè convinti della evi-
denza dei contrasti, appartengono al pennello dell'insigne maestro: quella sul mezzo del-
l'arco che mette alla cappella di Barbara Manfredi e l'altra sopra la finestra che illumina
la vòlta. Del pennello del Melozzo nient'altro è da ricercare in quegli affreschi; in ogni
loro parte, del resto importantissimi, per le ottime qualità comuni a' due artisti: la vigoria
del colore, nel Melozzo meno acceso e più vero, e la parte prospettica in ogni opera loro
resa sempre con grande magistero.

Sappiamo bene che sin dal 1836 il forlivese Reggiani fu forse il primo che sorgesse
a rivendicare le pitture della cupola e della lunetta, al Melozzo; mentre nel '74, il Prizzoni,
rilevando le meraviglie degli scorci, pubblica che solamente la vòlta può essere del maestro.
Ma, ci si perdoni la franchezza, essi mal s'appongono al vero. Del Melozzo, ripetiamo, non
sono che le due figure più sopra accennate. Qualche dubbio, piuttosto, potrebbe sorgere
pei cherubini, nel centro della cupola, di fattura squisita.

Nè qui soltanto si fermò la critica moderna. Nel '79, il Bode respinge, in proposito,
gli apprezzamenti del Reggiani e del Prizzoni; e finalmente lo Schmarsow, nell'86, cerca
di dimostrare che non solo i freschi della vòlta appartengono al maestro ma sì bene i putti
nei pennacchi della cupola e la lunetta della grande parete. Nè basta : chè lo stesso sig. Bode
nella 5a ediz. del " Cicerone, „ del Burckhardt, invece di constatarvi, come era stato fatto
nella 2a ediz. della stessa opera, 2 anche la mano del Melozzo persiste ad attribuire l'ese-
cuzione di tutte le pitture della cappella al Palmezzano, ponendosi così d'accordo con i
signori Crowe e Cavalcaseli, 3 che sono dello stesso parere.

Or dunque, volendo esprimere anche la opinione nostra in proposito, noi attribuiamo
al Palmezzano tutta la parte decorativa dei pilastri sostenenti la vòlta e la parete dalle
belle arcate, magistralmente condotta ; la lunetta, disegnata sul cartone, forse, dal Melozzo

1 Per verità dobbiamo però notare come i pochi
ritratti del Melozzo, incisi o modellati, come quello
ad esempio della Pinacoteca forlivese, furono tolti

appunto da questo, a fresco, di San Biagio.

2 V. Archivio Storico dell'Arte, I, p. 292 e 598.

3 Op. cit., II, p. 569,
 
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