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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 9.1906

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Fasc. 5
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Nicola, Giacomo de: L' affresco di Simone Martini ad Avignone
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https://doi.org/10.11588/diglit.24151#0384
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V AFFRESCO DI SI MONE MARTINI AD AVIGNONE

343

I rapporti avignonesi tra lo Stefaneschi e il Martini erano insospettati dagli antichi
scrittori. Questi li mettono, invece, in contatto a Roma dove, per la narrazione Vasariana,
Simone avrebbe seguito Giotto e l’avrebbe imitato in lavori condotti nel portico di San Pietro.1
Non potrebbe veramente l’artista ripetere da questo viaggio a Roma la fortuna di aver
conosciuto il futuro suo protettore?

E non potrebbe questi identificarsi con quel cardinale che, passando in Siena per recarsi
in Francia, condusse seco Simone facendogli lasciare incompiuto un affresco a Camollia?2

Questo racconto dello storico senese Tizio è oggi generalmente abbandonato per il
documento del Milanesi, colla data 8 febbraio 1339, in cui si dà un incarico ai maestri
Simone e Donato presso la corte pontificia.3 Ma l’incarico, nel cui atto notarile non è
alcun accenno alla presenza in quel tempo dei pittori a Siena, poteva benissimo esser loro
affidato quando già, anche da anni, dimoravano ad Avignone.

Sicché, non opponendovisi il documento del 1339, si deve credere al Tizio e far comin-
ciare l’ultimo periodo dell’attività artistica di Simone dal 1335, dalla data che ancora lesse
il Della Valle sotto l’affresco di Camollia.4

E, invero, il periodo avìgnonese ci apparirebbe troppo operoso se ridotto a soli cinque
anni (ad esso erano dovuti, oltre gii affreschi del portico della cattedrale, il ritratto di Laura,
il frontespizio del Virgilio, la tavola di Liverpool e il polittico di Anversa), mentre troppo
scarso di opere il periodo assisiate che ci ha dato solo la Cappella di San Martino in cui,
inoltre, fu impiegato su vasta parete Donato.

Possono, quindi, ritenersi i due periodi racchiusi dagli anni 1333-1335 e 1335-1344.

* * *

La bella tradizione che legava l’affresco di Avignone al Petrarca è caduta, non essendo
più del Petrarca i versi che vi erano sottoposti, ma è caduta a vantaggio dell’altra che vuole
effigiata Laura nella principessa liberata da San Giorgio. Non è, cioè, più possibile il dubbio
che la seconda tradizione si sia formata per accrescimento della prima, ma è certo ormai
il contrario ; e non vi è più luogo alla maraviglia, giustamente espressa dal Muntz,5 del
poco riserbo che avrebbe tenuto il poeta nel far esporre così pubblicamente una effigie di
cui doveva esser piuttosto geloso.

Del resto la tradizione sul ritratto di Laura sembra avere radici più profonde dell’altra,
perchè di questa la testimonianza più antica che si conosca è del 1600, la data del racconto
del Valladier, mentre fin dal 1472 si additava a Bernardo Bembo Laura nella Santa Mar-
gherita (come per confusione iconografica si è talora detta la principessa del San Giorgio)
del portico della cattedrale di Avignone.6

E dal Quattrocento in poi si trovò qui il prototipo delle Laure che per primi si van-
tarono di possedere il Bembo e l’Aretino,7 che per ultimo, quando l’affresco stava già per
scomparire, copiò I. Cousin.8

Ma se veramente Laura era nell’affresco avignonese (e abbiamo visto adesso quanto
ciò sia oggi più verosimile) non potrebbe essere stata ripetuta dallo scolaro di Simone
nella stessa scena, composta cosi similmente, del codice di San Giorgio ?

Certo, la graziosa giovane principessa della miniatura è un ritratto (fig. 3). Ha, a diffe-
renza del tipo muliebre comune all’artista, la testina molto più tondeggiante, il collo più

1 Di questi lavori avremmo un resto nella Madonna
detta della bocciata delle Grotte Vaticane, ma il re-
stauro che la deturpa impedisce il controllo della tra-
dizione.

2 Milanesi, Documenti per l’arte senese, I, 250.

5 Idem, ivi, I, 216.

4 Della Valle, Lettere senesi, II, pag. 98.

5 Pe'trarque, pag. 79.

6 De Nolhac, La bibliothèque de Fulvio Orsini,
pag. 293.

7 D’Auriac, Laure et Pétrarqne, pag. 14.

8 Muntz, op. cit., pag. 16.
 
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