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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 15.1912

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Fasc. 3
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Marangoni, Matteo: Il Mastelletta
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https://doi.org/10.11588/diglit.24139#0220
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MATTEO MARANGONI

176

ifc

L’opera del Mastelletta che da piccolissimi quadretti va sino alle più vaste tele che si
conservino in Bologna si distingue e caratterizza specialmente nelle grandi composizioni, dóve,
non costretto dai limiti angusti di un quadro comune nè da studio di particolari, il nostro
artista può sfrenare la sua imaginosa e fervida fantasia in larghi e grandiosi aggruppamenti
di figure coordinati ad un fine armonico e significativo.

I contemporanei che giudicavano con criteri troppo scolastici lo tacciarono di scorrettezza
nel disegno dei nudi, specialmente accusandolo, come fa il Malvasia, di « maniera furbesca.. .
nel confondere e perdere entro oscurità i contorni, onde sopra di essi non si potessero fare
i conti»; come se del resto il disegno consistesse soltanto nei contorni. In verità invece il
Mastelletta è di quei pittori i quali, più che la esattezza dei particolari sentono e curano l’in-
sieme delle masse; più che la diligenza del disegno, l’effetto della «macchia» e dei contrasti
di luce e di ombra; più che la verosimiglianza, la bellezza fantastica di forme e di colori.
Egli sente sopra tutto pittoricamente; e ben lo capì il Reni il quale, se pur disapprovava la
temerità del Mastelletta invidiavagli « la gran risoluzione e prontezza per la quale, solea dire,
ben dava a conoscere essere più di lui nato pittore». Del resto l’affermazione del Malvasia,
che egli « sfuggisse sempre i nudi » e che quando vi fosse costretto « si sentisse morire »
appare infondata per il fatto che, come vedremo, alcuni suoi dipinti non lasciano niente a
desiderare neppure dal lato della correttezza scolastica del disegno. Egli come risulta dalla
sua vita, fu un uomo, oltre che strano, troppo semplice e sincero per potersi piegare anche
al più ingenuo artificio come quello di cui l’accusa il Malvasia; e anziché di maniera furbesca
si potrebbe piuttosto, mi pare, accusarlo di eccessiva sincerità e indipendenza.

Pur nonostante, a dispetto della pedanteria dei suoi critici, il Mastelletta dovette godere
di molta stima se gli venne affidato un lavoro così importante come l’esecuzione delle due
enormi tele e di vari dipinti murali nella nuova cappella del Santo a San Domenico allora
rinnovata e decorata, oltre che da lui, dal Reni; ornata con tele del Tiarini e dello Spada;
lavori cui avevano aspirato in concorso i più begli ingegni di Bologna.

Le due immense tele, che anche secondo il suo biografo sono « le più bell’opre ch’avesse
mai fatto» si trovano nelle due pareti laterali della cappella. Sono quadrate di circa metri sei
e quaranta per lato e rappresentano due miracoli di san Domenico cioè, il Santo che risuscita
il giovane Napoleone Orsini ucciso da un cavallo infuriato (fig. 1), soggetto pur figurato nel-
l’Arca da Nicola Pisano; e la Battaglia di Muret presso Tolosa ove gli eretici Albigesi nel 1213
furono disfatti. Oltre queste due tele il Mastelletta dipinse colà i pennacchi della cupola coi
quattro protettori di Bologna ; e nella superficie interna di ciascuna delle quattro arcate varie
fìgurette femminili simbolizzanti le virtù di san Domenico e gli attributi gloriosi di lui.

Così vasto lavoro secondo il Berthier 1 sarebbe stato fatto in soli tré mesi e mezzo, cioè
dal 15 febbraio all’ultimo di maggio del 1616; e anche il Malvasia si meraviglia di questi
« teloni che spaventano, da lui che aveva gran fuoco e tutto bolliva, così presto e a sì vii
prezzo intrapresi e finiti ch’è stupore e vergogna». Questa celerità e disinteresse provereb-
bero sempre più che le inesattezze tecniche del nostro pittore, anziché a inesperienza, deb-
bansi attribuire piuttosto alla prepotente sua smania di fissare i fantasmi fuggevoli della fan-
tasia eccitata e incontrollabile.

II Berthier a proposito delle fìgurette simboliche dipinte nelle volte dice: « On ne peut
rien imaginer de plus ravissant que ces figures. Elles sont exquises comme des tanagra »,
ed è davvero ammirabile la squisita grazia tutta personale con cui il Donducci concepisce e
rappresenta il tipo femminile e l’angelico, dai quali la sua natura mistica e pura sa allontanare
ogni ricordo di bellezza corporea e sensuale pur accentuandone i pregi e le grazie femminili.

Berthier, Le tombeau de Saint Dominique.
 
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