$6z Imagini de i Dei
tonda da vedere,non quello che arde, abbrucia, perche sa male> <& è
noiofo ; e quefto più si consà all’^ more delle cose terrene , il quale non
porge diletto mai, nè piacere alcuno intero, & che sa sen^a tormento •
ma così aggiunge l’vno all’altro, come nella face fono tnsieme losplendo-
re, che diletta, & la siamma, che tormenta ardendo » E su quella poi
opinione di Plutarco,il quale serine che i 'Poeti, gli Scultori, & i ‘Dipin-
tori finsero, che Cupidoportasse in mano lasaceaccefa, perche del suoco,
quel che lue e, è diletteuolisfimo, ma quel che abbrucia poi,è suor di modo
molesto , il che tolse egli con gli altri forsè da ‘Platone , il quale serine
nel Timeo, che more in noi è miflo di piacere, & di dolore. Tjacque
questo^ more di Voltano, e dell’altra Venere, la quale chiama Platone
volgare,mondana^ terrena,volgare parimente, terreno,e pieno di lasci-
Seneca. uia humana,secondo che sinsero le sauole. Onde Seneca nella Tragedia
di Ottauia descriuendolo,dice così,
L’error de’ciechi, e miseri mortali
Ter coprire il suo (tolto? e van disio
Finge ch’^lmor sia Dio,
Sì par, che del fuo inganno si dilette ,
Jn vifia assai piaceuole, ma rio
Tanto che gode sol de gli altrui mali ,
C*babbia a gli homeri l’ali,
Le mani armate d’arco, e di saette
E in breue sace astrette
Torti le siamme, che per l’vniuerfo
Va poi spargendo sì, che del suo ardore
%esia acceso ogni core,
E che da l’vso human poco diuerso
Di folcano > e di Venere sia nato ?
E del Ciel tengati più subhme siato,
^smor è vitio de la mente insuna ,
Quando si mone dal suo proprio loco >
Che di piaceuol soco
L animo scalda > e nafee ne’ verdi anni
l età, ch’assai può, ma vede poco.
L’ocio il nodrisee, e la lasciuia humana 9
cfylentre che và lontana
La ria Fortuna co* suoigrani danni
Spiegando i tristi vanni *
■ ■ ... . - .. E
tonda da vedere,non quello che arde, abbrucia, perche sa male> <& è
noiofo ; e quefto più si consà all’^ more delle cose terrene , il quale non
porge diletto mai, nè piacere alcuno intero, & che sa sen^a tormento •
ma così aggiunge l’vno all’altro, come nella face fono tnsieme losplendo-
re, che diletta, & la siamma, che tormenta ardendo » E su quella poi
opinione di Plutarco,il quale serine che i 'Poeti, gli Scultori, & i ‘Dipin-
tori finsero, che Cupidoportasse in mano lasaceaccefa, perche del suoco,
quel che lue e, è diletteuolisfimo, ma quel che abbrucia poi,è suor di modo
molesto , il che tolse egli con gli altri forsè da ‘Platone , il quale serine
nel Timeo, che more in noi è miflo di piacere, & di dolore. Tjacque
questo^ more di Voltano, e dell’altra Venere, la quale chiama Platone
volgare,mondana^ terrena,volgare parimente, terreno,e pieno di lasci-
Seneca. uia humana,secondo che sinsero le sauole. Onde Seneca nella Tragedia
di Ottauia descriuendolo,dice così,
L’error de’ciechi, e miseri mortali
Ter coprire il suo (tolto? e van disio
Finge ch’^lmor sia Dio,
Sì par, che del fuo inganno si dilette ,
Jn vifia assai piaceuole, ma rio
Tanto che gode sol de gli altrui mali ,
C*babbia a gli homeri l’ali,
Le mani armate d’arco, e di saette
E in breue sace astrette
Torti le siamme, che per l’vniuerfo
Va poi spargendo sì, che del suo ardore
%esia acceso ogni core,
E che da l’vso human poco diuerso
Di folcano > e di Venere sia nato ?
E del Ciel tengati più subhme siato,
^smor è vitio de la mente insuna ,
Quando si mone dal suo proprio loco >
Che di piaceuol soco
L animo scalda > e nafee ne’ verdi anni
l età, ch’assai può, ma vede poco.
L’ocio il nodrisee, e la lasciuia humana 9
cfylentre che và lontana
La ria Fortuna co* suoigrani danni
Spiegando i tristi vanni *
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