Nel 1911, dopo avere isolato la parte sud-ovest delle Terme di
Diocleziano e la Torre delle Milizie, volsi il pensiero ai resti dei Fori
Imperiali allo scopo appunto di studiarne lo scoprimento. Non vi fu
casa a levante delle vie Alessandrina e Bonella (aperte nel 1570), di
via di Campo Carleo, di via della Croce Bianca, che non esplorassi
nei cortili, nelle cantine, nelle terrazze, su pei tetti. Due volte mi fu
consentito di entrare nel monastero femminile dell'Annunziata dei Pan-
tani, in cui si chiudevano quasi tutti gii avanzi del Foro d'Augusto.
Trassi appunti, misure, schizzi, fotografie, li raffrontai ai vari e preziosi
disegni e rilievi del luogo rimastici del Rinascimento; infine tanto ma-
teriale sottoposi alla pronta intelligenza e all'abile mano di Lodovico
Pogliaghi, il quale mi procurò quella magnifica e totale scena delle te-
state orientali dei Fori Imperiali, che ha persuaso il pubblico degli
studiosi e degli artisti e portato all'odierno successo. Esso, si lasci
dire, dimostra oggi come le ricerche fatte allora conducessero a una
visione assai vicina alla realtà.
Gli assentimenti degl'Istituti artistici e degli studiosi dell'anti-
chità e dell'arte furono molti. Sfogliando l'incarto raccolto allora, in-
contro le calde adesioni dell'Accademia di San Luca, dell'Istituto
di Belle Arti di Roma, dell'Associazione Artistica Internazionale, del-
l'Associazione dei Cultori d'Architettura, e di uomini come Rodolfo
Lanciani (che nel gennaio 1912 divulgò il progetto con due confe-
renze), Giacomo Boni, Lucio Mariani, Adolfo Apolloni, Pio Piacen-
tini, Alfredo D'Andrade, Camillo Boito, Alfonso Rubbiani, Giulio
Cantalamessa, G. Teresio Rivoira, Gustavo Giovannoni, Raffaele Faccioli,
Felice Barnabei, Dante Vaglieri, e, tra gli stranieri, Carlo Buls, Giorgio
Karo, Enrico Brockhaus.
Ma tale manifestazione parve fiamma di breve durata. Soltanto
nel 1916 Prospero Colonna, sindaco di Roma, pregato da me di ri-
prendere in esame il progetto, disse sembrargli degno di attuazione
e volle che fosse incluso nel Piano Regolatore.
Era un primo passo, più notevole forse di quanto allora paresse,
ma ad esso non seguì il secondo. Doveva essere gloria del Regime
Fascista affrontare in pieno la grande impresa di redimere cosi cospicua
e famosa somma di antichità.
Filippo Cremonesi, podestà, poi Governatore di Roma, animato
anche dal comm. Alberto Mancini, nel marzo del 1924 decise l'inizio dei
lavori, che vennero affidati alla mia direzione. Ma l'impresa sarebbe
stata troppo ardua per me, se non fossi stato sorretto dall'aiuto e dal
consiglio d'una commissione formata d'insigni cultori d'arte e d'ar-
cheologia quali G. Q. Giglioli, G. B. Giovenale, Antonio Munoz,
Roberto Paribeni, Antonio Maria Colini, nonché di tecnici quali l'ing.
Diocleziano e la Torre delle Milizie, volsi il pensiero ai resti dei Fori
Imperiali allo scopo appunto di studiarne lo scoprimento. Non vi fu
casa a levante delle vie Alessandrina e Bonella (aperte nel 1570), di
via di Campo Carleo, di via della Croce Bianca, che non esplorassi
nei cortili, nelle cantine, nelle terrazze, su pei tetti. Due volte mi fu
consentito di entrare nel monastero femminile dell'Annunziata dei Pan-
tani, in cui si chiudevano quasi tutti gii avanzi del Foro d'Augusto.
Trassi appunti, misure, schizzi, fotografie, li raffrontai ai vari e preziosi
disegni e rilievi del luogo rimastici del Rinascimento; infine tanto ma-
teriale sottoposi alla pronta intelligenza e all'abile mano di Lodovico
Pogliaghi, il quale mi procurò quella magnifica e totale scena delle te-
state orientali dei Fori Imperiali, che ha persuaso il pubblico degli
studiosi e degli artisti e portato all'odierno successo. Esso, si lasci
dire, dimostra oggi come le ricerche fatte allora conducessero a una
visione assai vicina alla realtà.
Gli assentimenti degl'Istituti artistici e degli studiosi dell'anti-
chità e dell'arte furono molti. Sfogliando l'incarto raccolto allora, in-
contro le calde adesioni dell'Accademia di San Luca, dell'Istituto
di Belle Arti di Roma, dell'Associazione Artistica Internazionale, del-
l'Associazione dei Cultori d'Architettura, e di uomini come Rodolfo
Lanciani (che nel gennaio 1912 divulgò il progetto con due confe-
renze), Giacomo Boni, Lucio Mariani, Adolfo Apolloni, Pio Piacen-
tini, Alfredo D'Andrade, Camillo Boito, Alfonso Rubbiani, Giulio
Cantalamessa, G. Teresio Rivoira, Gustavo Giovannoni, Raffaele Faccioli,
Felice Barnabei, Dante Vaglieri, e, tra gli stranieri, Carlo Buls, Giorgio
Karo, Enrico Brockhaus.
Ma tale manifestazione parve fiamma di breve durata. Soltanto
nel 1916 Prospero Colonna, sindaco di Roma, pregato da me di ri-
prendere in esame il progetto, disse sembrargli degno di attuazione
e volle che fosse incluso nel Piano Regolatore.
Era un primo passo, più notevole forse di quanto allora paresse,
ma ad esso non seguì il secondo. Doveva essere gloria del Regime
Fascista affrontare in pieno la grande impresa di redimere cosi cospicua
e famosa somma di antichità.
Filippo Cremonesi, podestà, poi Governatore di Roma, animato
anche dal comm. Alberto Mancini, nel marzo del 1924 decise l'inizio dei
lavori, che vennero affidati alla mia direzione. Ma l'impresa sarebbe
stata troppo ardua per me, se non fossi stato sorretto dall'aiuto e dal
consiglio d'una commissione formata d'insigni cultori d'arte e d'ar-
cheologia quali G. Q. Giglioli, G. B. Giovenale, Antonio Munoz,
Roberto Paribeni, Antonio Maria Colini, nonché di tecnici quali l'ing.