CATULLO ED I « NEOTEROI »
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pungenti contro Pompeo e contro Cesare. Furono mordaci, livide parole contro questo
eroe, ma l’eroe, appunto perché tale, generoso perdonò, anzi, conservando integra l’ami-
cizia col padre di Catullo, cercò e raggiunse la riconciliazione col velenoso poeta.
Irrompe Catullo con le sue invettive contro i suoi avversari o sarcastico ghigna; ma
oltre a questo aspetto, Catullo ne ha un altro, che è di gran lunga preferibile: è l’infuo-
cata passione d’amore ed è il dolce affetto verso il fratello e verso gli amici che dettano
a Catullo i versi piu. belli, per cui egli emerge sovrano tra gli altri poeti lirici contempo-
ranei. Chi erano questi poeti lirici? Tra il 70 ed il 60 a Roma fioriva uno spensierato ce-
nacolo di poeti: vi era un Valerio Catone, che si può considerare il fondatore del cena-
colo, nato alla fine delsec. II e oriundo dalla valle del Po. Rovinato dalle proscrizioni sfi-
lane, aveva aperto una scuola ed aveva fatto fortuna, si da acquistare una villa in quel di
Tuscolo, ma poi gli usurai gli avevano rapito ogni cosa, sicché in vecchiaia diventò po-
verissimo. Fu non solo poeta, ma anche grammatico.
Oltre a Catone, chiamato Sirena latina, vi era nel cenacolo C. Licinio Macro Calvo,
nato nell’82, non solo poeta, ma anche oratore seguace degli Àttici, semplici e chiari;
morì Calvo, giovane, prima del 46. Vi era C. Elvio Cinna, nativo dell’alta Italia, forse
tra Brescia e Verona, e vi erano altri poeti, tra cui un giovinetto pieno di arguzia, C.
Asinio Pollione, nato nel 76, uno storico, Cornelio Nepote, ed un oratore, Q. Ortensio
Ortalo; tutti costoro avevano uno speciale rispetto per Cicerone. Fu questo il cenacolo
dei poètas novi 0 neoteroi, che Cicerone con un tono un po’ canzonatorio chiama can-
tores Euphorionis (Tusculane, III, 19, 44), perché ammiratori di un pesantissimo poeta
ellenistico, Euforione di Calcide, bibliotecario di Antiochia, fiorito nella seconda metà
del sec. Ili, e che fu poeta eruditissimo in miti oscuri e complessi. Ed eruditissimi
erano i neoteroi, ribelli del tutto alla tradizione poetica, seguaci entusiastici di ciò che
era erudizione, raffinatezza, artificio; perciò gli exemplaria greci erano per loro i canti,
oltre che di Euforione, di Callimaco e di Apollonio Rodio.
Al cenacolo dei neoteroi appartenne anche Catullo; ma ben presto egli emerse come
poeta nel più puro senso della parola, spoglio di tutte le scorie alessandrine, che inceppa-
vano, soffocavano ogni spontaneità, ogni estro. Una donna, che egli chiama Lesbia, è
la maggiore ispiratrice dei suoi versi; Lesbia era Clodia, una sorella del famigerato P.
Clodio il Bello, sposa ad un fatuo e noioso individuo, Q. Cecilio Metello Celere, che nel
59 mori avvelenato, a quel che pare, da Clodia stessa. Certo Clodia non era del solo
Catullo, ma altri amanti ne godevano le grazie.
Erompe il grido di passione del poeta innamorato: «Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo-
ci...»; ma è nel tempo stesso il crollo di ogni dolce illusione, è il sospetto, è l’amarezza,
è la gelosia: ma ciò che una donna dice al bramoso amante, « oh! scrivilo nel vento, scri-
vilo nell’acqua che fugge». Dalla gelosia l’odio: «odio ed amo nel tempo stesso», dice
Catullo, il quale nel 57 va in Bitinia al seguito del governatore C. Memmio; nel 55 è
ormai la fine, l’amore è scomparso, e Lesbia viva pure coi suoi innumeri amanti.
Col dolore della morte recentissima di un amato fratello — magnifica è l’elegia
che compose sulla sua tomba — Catullo ritornò in patria e nella penisoletta di Sirmione,
argentea di ulivi e protesa nell’azzurro del Garda, egli visse ancora giorni placidi, lon-
tano dagli affanni e dal rumore degli uomini. Spirito essenzialmente lirico, Catullo,
anche quando imita i poeti alessandrini o li traduce, non è grave né pedante, è sempre
poeta. Nugae, cioè inezie, egli chiamò alcuni suoi carmi, brevi, che egli volle dedicare
ad uno storico, Cornelio Nepote, da lui stimato assai. Per queste nugae scritte con
sciolta, famigliare lingua, ma vibranti di sentimento, più ancora che pei carmi mag-
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pungenti contro Pompeo e contro Cesare. Furono mordaci, livide parole contro questo
eroe, ma l’eroe, appunto perché tale, generoso perdonò, anzi, conservando integra l’ami-
cizia col padre di Catullo, cercò e raggiunse la riconciliazione col velenoso poeta.
Irrompe Catullo con le sue invettive contro i suoi avversari o sarcastico ghigna; ma
oltre a questo aspetto, Catullo ne ha un altro, che è di gran lunga preferibile: è l’infuo-
cata passione d’amore ed è il dolce affetto verso il fratello e verso gli amici che dettano
a Catullo i versi piu. belli, per cui egli emerge sovrano tra gli altri poeti lirici contempo-
ranei. Chi erano questi poeti lirici? Tra il 70 ed il 60 a Roma fioriva uno spensierato ce-
nacolo di poeti: vi era un Valerio Catone, che si può considerare il fondatore del cena-
colo, nato alla fine delsec. II e oriundo dalla valle del Po. Rovinato dalle proscrizioni sfi-
lane, aveva aperto una scuola ed aveva fatto fortuna, si da acquistare una villa in quel di
Tuscolo, ma poi gli usurai gli avevano rapito ogni cosa, sicché in vecchiaia diventò po-
verissimo. Fu non solo poeta, ma anche grammatico.
Oltre a Catone, chiamato Sirena latina, vi era nel cenacolo C. Licinio Macro Calvo,
nato nell’82, non solo poeta, ma anche oratore seguace degli Àttici, semplici e chiari;
morì Calvo, giovane, prima del 46. Vi era C. Elvio Cinna, nativo dell’alta Italia, forse
tra Brescia e Verona, e vi erano altri poeti, tra cui un giovinetto pieno di arguzia, C.
Asinio Pollione, nato nel 76, uno storico, Cornelio Nepote, ed un oratore, Q. Ortensio
Ortalo; tutti costoro avevano uno speciale rispetto per Cicerone. Fu questo il cenacolo
dei poètas novi 0 neoteroi, che Cicerone con un tono un po’ canzonatorio chiama can-
tores Euphorionis (Tusculane, III, 19, 44), perché ammiratori di un pesantissimo poeta
ellenistico, Euforione di Calcide, bibliotecario di Antiochia, fiorito nella seconda metà
del sec. Ili, e che fu poeta eruditissimo in miti oscuri e complessi. Ed eruditissimi
erano i neoteroi, ribelli del tutto alla tradizione poetica, seguaci entusiastici di ciò che
era erudizione, raffinatezza, artificio; perciò gli exemplaria greci erano per loro i canti,
oltre che di Euforione, di Callimaco e di Apollonio Rodio.
Al cenacolo dei neoteroi appartenne anche Catullo; ma ben presto egli emerse come
poeta nel più puro senso della parola, spoglio di tutte le scorie alessandrine, che inceppa-
vano, soffocavano ogni spontaneità, ogni estro. Una donna, che egli chiama Lesbia, è
la maggiore ispiratrice dei suoi versi; Lesbia era Clodia, una sorella del famigerato P.
Clodio il Bello, sposa ad un fatuo e noioso individuo, Q. Cecilio Metello Celere, che nel
59 mori avvelenato, a quel che pare, da Clodia stessa. Certo Clodia non era del solo
Catullo, ma altri amanti ne godevano le grazie.
Erompe il grido di passione del poeta innamorato: «Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo-
ci...»; ma è nel tempo stesso il crollo di ogni dolce illusione, è il sospetto, è l’amarezza,
è la gelosia: ma ciò che una donna dice al bramoso amante, « oh! scrivilo nel vento, scri-
vilo nell’acqua che fugge». Dalla gelosia l’odio: «odio ed amo nel tempo stesso», dice
Catullo, il quale nel 57 va in Bitinia al seguito del governatore C. Memmio; nel 55 è
ormai la fine, l’amore è scomparso, e Lesbia viva pure coi suoi innumeri amanti.
Col dolore della morte recentissima di un amato fratello — magnifica è l’elegia
che compose sulla sua tomba — Catullo ritornò in patria e nella penisoletta di Sirmione,
argentea di ulivi e protesa nell’azzurro del Garda, egli visse ancora giorni placidi, lon-
tano dagli affanni e dal rumore degli uomini. Spirito essenzialmente lirico, Catullo,
anche quando imita i poeti alessandrini o li traduce, non è grave né pedante, è sempre
poeta. Nugae, cioè inezie, egli chiamò alcuni suoi carmi, brevi, che egli volle dedicare
ad uno storico, Cornelio Nepote, da lui stimato assai. Per queste nugae scritte con
sciolta, famigliare lingua, ma vibranti di sentimento, più ancora che pei carmi mag-