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Bodrero, Emilio; Ducati, Pericle; Istituto Nazionale per le Relazioni Culturali con l'Estero <Rom> [Editor]
Italia e Grecia: saggi su le due civiltà e i loro rapporti attraverso i secoli — Firenze, 1939

DOI Page / Citation link:
https://doi.org/10.11588/diglit.42576#0409

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« L;ULTIMO VIAGGIO » NEI « POEMI CONVIVIALI » DI GIOVANNI PASCOLI 371
biamo appresi la prima volta, quantunque più si va avanti e più
ci sembra di avere sotto gli occhi una continuazione dell’antico poe-
ma. Ma dopo Dante è quasi inevitabile che l’eroe d’Itaca, se si
voglia ancora cantarlo, si canti conservandogli il carattere di cui
quegli lo ha indelebilmente impresso. E il Pascoli confessa da sè
d’essersi ingegnato di metter d’accordo 1’ Odissea (XI, 121-137)
— dove si legge che Ulisse, tornato a Itaca e presa vendetta dei
proci, deve mettersi di nuovo in viaggio, ma per paesi abitati da
genti che nulla sappiano di mare e di navi, finché non s’incontri
in uno che prenda per ventilabro il remo che egli reggerà sulla
spalla —, con il XXIV dell’ Inferno — in cui l’eroe messosi alla
ricerca del mondo senza gente, per aver oltrepassate le colonne
d’ Ercole, perisce nei gorghi del mare « che mai non vide navicar
sue acque — omo che di tornar sia poscia esperto » — e con il Ten-
nyson, il quale fa che Ulisse, ricondotto dai Feaci nella sua isola
rupestre, si stanchi della vita sterile e monotona che vi mena e
affronti di nuovo i pericoli delle tempeste nella speranza superba
di « passare il tramonto — ed il lavacro degli astri di là, fin ch’abbia
la morte ». Ma non si tema per tanto che L’ultimo viaggio si risol-
va in una contaminazione di questi tre poeti. Il suo eroe il Pascoli
lo contempla con la stessa ammirazione dei grandi che lo hanno
preceduto, ma sotto un aspetto diverso : sotto quel medesimo
aspetto che, come si è accennato, gli era suggerito dal desiderio
prepotente e vano di ciò che fu e si bramerebbe tornasse a essere ;
e quindi da un sentimento che è di tutti, e che, per ragioni troppo
facili a intuire, doveva essere anche di Ulisse; anzi di lui più che
di molti altri.
Perciò, secondo il suo costume, il Pascoli comincia col fissar lo
sguardo in Odisseo, come per leggergli in cuore, dal giorno che,
adempito all’oracolo di Tiresia e piantato in terra il suo remo, se
ne torna alla casa benfatta. Dopo essere andato errando dieci
anni, « in ira a un dio », simile a « foglia a cui s’adira il vento »,
egli finalmente è tornato. E il poeta lo vede per prima cosa nel-
l’atto di sospendere il timone al focolare. Quell’aver dovuto mesi
e mesi camminare sulla terraferma, in cerca di coloro che non co-
noscono il mare, l’ha stancato; ed è giusto che si riposi. Fino a
quando? Il Pascoli sa bene che Tesser giunti per non ricominciare
equivale a morire; ed è troppo profondo conoscitore della natura
umana per ammettere che Odisseo si rassegnerà a vivere ozioso
in Itaca per sempre. Chi ha trascorso sul mare la parte più bella
della vita, è impossibile che non ne serbi con il ricordo il desiderio.
Per Odisseo il mare era stato il campo della sua gloria; nel mare
aveva goduto l’amore di due dee, e aveva appagato il bisogno di
 
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