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VOCI DI ETRURIA

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terrazza; qua e là i vivaci colori dei rivestimenti
di terracotta contrastano col verde dei ciuffi di
piante; emergono sulle dimore dei mortali le di-
more degli dèi e, sul punto più alto della città, si
raccolgono i templi sgargianti di colori, sovracca-
richi di ornati e di figure a rilievo e a scultura. Al
di fuori della cinta murale ai lati, su due ampi
speroni, è la folla delle tombe; sovrastano i ricchi
mausolei a grandiosi tumuli ricoperti di zolle erbose
e su basamenti di massi. Trionfo sfacciato di colori,
forti contrasti di luci e di ombre, accostamento
stridente di sagome diverse tra le case dei vivi e
quelle dei morti. E risuona il fremito del grande
alveare umano.
Dentro questa fiorente città in tragici giorni
ebbero ricovero le cose più sacre di Roma. Ripor-
tiamoci all’estate del 390 a. C. SuH’Allia, dinnanzi
alle soverchianti forze dei Galli, ignudi, dalla ispida
chioma bionda drizzata a mò di Sileni sul capo, e
balzanti con ululati tremendi alla strage, dinnanzi
ad un tale nemico non mai prima veduto, i Ro-
mani, presi dal panico, fuggono disordinatamente,
ma in parte sono trucidati dalle spade e dai dardi
dei barbari inorgogliti per la facile vittoria. Im-
mensa la costernazione in Roma e mentre il Capi-
tolium riacquista la sua funzione di rocca armata e
mentre i venerandi senatori imperturbabili si assi-
dono, simili a numi, dinnanzi all’indifeso Comizio
e la folla degli inermi si riversa in preda al terrore,
 
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