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Ducati, Pericle
Voci di Etruria — Bologna, 1939

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https://doi.org/10.11588/diglit.42774#0064
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PERICLE DUCATI

(I, 19), ci dice, e la notizia è confermata da Cassio
Dione, che anche la lupa fu rovesciata dal fuoco
celeste, « cadde e strappata lasciò le vestigia dei
suoi piedi ».
Ferita dal fulmine di Giove, la lupa era diven-
tata interamente preda del dio: come tale essa fu
sepolta sotto il tempio, cioè nelle favissae, in am-
bienti e ripostigli sotterranei, ove i sacerdoti am-
massavano tutti i simulacri, tutti i doni votivi gua-
stati dalle ingiurie del tempo, dagli incendi e dalle
folgori, da mani profanatrici. Colà, nelle tenebre,
giacque la lupa bronzea di lontana etrusca origine,
giacque per secoli e secoli, obliata nella sepoltura
profonda durante il fulgore dell’impero, durante i
tristi tempi di profanazione barbarica di Roma im-
periale. Sparvero gli antichi dèi del Lazio, trionfò
la Croce; alla Roma dei Cesari subentrò la Roma
dei Pontefici ed ignota nella sua secolare prigione
rimase la statua vetusta. Alfine, per un caso, essa
potè emergere novellamente sotto il cielo della città
del Tevere: ma quando ciò avvenne?
La rozza cronaca che Benedetto del monte So-
ratte, benedettino della abbazia di Sant5Andrea
in flumine, scrisse in ferrei tempi, tra il 955 ed il 997,
tra la tirannia di Alberico di Tuscolo e la potenza
di Crescenzio, riferisce che il luogo ove i malfat-
tori pagavano il fio dei loro misfatti era dinnanzi
al palazzo del Laterano, presso la lupa. Forse,
quando il pontefice Sergio III, che sedette sulla
 
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