94
PERICLE DUCATI
parire la grandiosa grotta Pola col prospetto a
tempio di otto colonne a ricchi capitelli con fogliami
e con teste umane! Quanta ricchezza e quanto de-
coro nel tempo stesso doveva esprimere la grotta
Ildebranda, quella tomba che, in onore del grande
sovanese, fu in tal modo denominata da un esperto
esploratore delle tombe etrusche a facciate rupestri,
dal compianto Gino Rosi ! Quella grotta Ildebranda,
che è un vero tempietto su alta base con una cella
e due ali e con sei colonne nel porticato di fronte,
quella grotta Ildebranda che, mercè l’acuto studio
di Ranuccio Bianchi Bandinelli, è diventata una
pietra miliare per la conoscenza della architettura
etrusca e dei legami d’arte tra Etruria e Campania.
M’indugio nella visione di questi scuri ipogei;
è la curiosità, che diventa fervore di indagine. Dal
quadrato campanile del Duomo scende nell’umido
botro il rintocco greve e lento della campana, si
ripercuote il suono ed aggiunge una nota di mestizia
al luogo, ove tutto ricorda una umanità lontana,
scomparsa, assorbita dalla nebbia dei tempi. Il pen-
siero dell’affannoso ritmo della vita odierna stride
ed urta contro la solennità austera della necropoli
sovanese; si prova il senso della segregazione e quasi
mi illudo di essere trasportato al di là, molto al
di là dell’oggi, che rapido passa, più che nella
realtà, nella brama nostra di operare, di vivere.
Nove chilometri di mulattiera ricollegano la fra-
zione di Sovana al suo comune, a Sorano; dieci
PERICLE DUCATI
parire la grandiosa grotta Pola col prospetto a
tempio di otto colonne a ricchi capitelli con fogliami
e con teste umane! Quanta ricchezza e quanto de-
coro nel tempo stesso doveva esprimere la grotta
Ildebranda, quella tomba che, in onore del grande
sovanese, fu in tal modo denominata da un esperto
esploratore delle tombe etrusche a facciate rupestri,
dal compianto Gino Rosi ! Quella grotta Ildebranda,
che è un vero tempietto su alta base con una cella
e due ali e con sei colonne nel porticato di fronte,
quella grotta Ildebranda che, mercè l’acuto studio
di Ranuccio Bianchi Bandinelli, è diventata una
pietra miliare per la conoscenza della architettura
etrusca e dei legami d’arte tra Etruria e Campania.
M’indugio nella visione di questi scuri ipogei;
è la curiosità, che diventa fervore di indagine. Dal
quadrato campanile del Duomo scende nell’umido
botro il rintocco greve e lento della campana, si
ripercuote il suono ed aggiunge una nota di mestizia
al luogo, ove tutto ricorda una umanità lontana,
scomparsa, assorbita dalla nebbia dei tempi. Il pen-
siero dell’affannoso ritmo della vita odierna stride
ed urta contro la solennità austera della necropoli
sovanese; si prova il senso della segregazione e quasi
mi illudo di essere trasportato al di là, molto al
di là dell’oggi, che rapido passa, più che nella
realtà, nella brama nostra di operare, di vivere.
Nove chilometri di mulattiera ricollegano la fra-
zione di Sovana al suo comune, a Sorano; dieci