TAVOLA
III.
*S
del tutto t'8) , cadendogli il manto di color rojfo fotto il
defiro braccio , con cui fi appoggia al faifo, e tiene trai-
le dita due dardi ^ : i capelli {compigliati, e che gli ca-
dono su gli omeri *> fono ftretti da umfqfcetta , che gli
cinge la fronte (IO) : e vicino fi vede la Lu?ta mancante(nX
condo alcuni Ftìr fu figlio di Endimione , da cui eb-
be il nome il paefe ,e il monte: fecondo altri > che così
fu detto un monte della Ciria per V abbondanza delle
pine , i di cui frutti fon detti Cbdéìpeq , o altrimenti
spofii'Ax, , perchè fon fimili (P9sipai : ($9siplg Ss Tiiyov-
voci oi y.xpnoì Tiiy ixnùw», tjtoi rx 7ièyó[xsvcc ?^oj3/Aa; -,
ori s'oìkugi tydsipaìv. Che i nomi di 7rirùg 5 e tsuth Jt
fcambiano fpeffo per la finìilitudine del pino coli' albe-
ro della pece , è come quejlo fi adornigli All' abeti, fi
veda in Salmafio Hyl. Jatr. p. 82. cap. 65> e la ra-
gione di tal demmin.iziom di quei frutti -può anche
vederfi in Euflazio sul verfo dell' Iliade lì. QdsipZs
T opog dxpiTÓQuTtft.0',/. Sembra dunque -, che quejì' albe-
ro fi fia qui voluto rapprefentare . A.d ogni modo Q.
Calabro X. 131. dice , che il letto d' Endimione era
fotto le querce vicino all'antro delle Ninfe , dove fi
vedeano delle pietre bianche in modo -, che fenibravarì
da lontano , come fé vi fojfe latte fparfo » creduto il
latte delle vacche di Eridinìione .
(8) Properzio II. El. 12. v. 15 »
Nudus &£ Endyrrtion Plioebi cepiffe forórenì
Dicitur , & nudae concubuiffe deae .
(9) Luciano nel cit. dialogo così lo deferiva: ora')
smfa?&ó[is>OQ ini t7# tìs'fgòcg t^j y^scfwSa xuds'ufy t
57? hctiet [dv "syj>y) tx, ctKÓ/rix , %5yj sk tTjq ysipàg ùrto^-
géovrx : quando buttata la clamide fopra una pietra
dorme , tenendo nella finiflra i dardi , che quafi già
gli fcappano di mano « Ed è proprio t che abbia in mano
i dardi , ejfendo cacciatore t come da Luciano à e da-
gli Scoliafii di Apollonio , e di Teocrito fi dice : ben-
ché non manchi chi lo fupponga pajloré . Servio Georg.
III. 391. dove il poeta dice.
Munere fic hiveo lanae lì Credere dighum efì:,
Pan deus Arcadiae captam te , Luna » fefellit
Innemorà alta vocans; nec tu afpernatavocanteni:
così fcrive : Mutat fabulam ; nani non Pan $ fed En-
dymion amaffe dicitur Lunam ; qui fpretus pavit pe-
cora candidiflima , & fic eam in luos illexit amplexus:
cujus rei myftici volunt quandarrì fecretarri effe ratio-
herrì . È così anche Fulgenzio 1. e, e lo Scoìiajlè di
Giovenale Sat, X. 318. e Teocrito Id. XX. 37.
E'i/SufJu'w Si ti'q %i> ; è ftitótog ; "ons SsA^à
BSKOÀsoncc (pl'TMGSV »
Endimion chi fu ? Non fu bifólco t
E pur bifolco élTendo , il baciò Cintià ,
è così anche Ranno XIII. 554. è XLVIII. 668. anzi
Marziano Capella IX. p. m. %6f. lo chiama porcaro^
fubulcum ; fé pur non fi legga bubulcum .
(io) Con quejla fafeetta -, ò diadema fi volle dire»
che il pittore uvea forfè additato -, che Endimion e fu
Re . Infoiti Ibico preffo lo Scoliajìe di Apollonio nel
C. li dice ì che fu Re di Elide : benché altri dijlingua^
no il Re dal pajlore .
(li) Per togliere ogni dubbio s che quejlo fia En*
dimione vi ha il pittore aggiunta anche la Luna man->
canta . tri un marmo pubblicato dal Sandrart j e fpie-
gato dal Gronoviò A. G. To. L Tab. 0. fi vede Ict
Luna ì che feerìdà dalla fua biga ± accompagnata dtt
molti Amorini , è fi ferma a contemplare Endimionet
che dorme unito al Sonno . Il nojlro pittore con più fem~
plicità j è con maggior leggiadria rapprefenta la Luna
fola , e fenza la biga -, è tirata a braccio * quafi per
forza cojlretta j da A.more j che fi accoda timida 6
vergognofa ad Endimione -, che dorme . Seneca Hippol.
Vi 308. e fegg. confantafianondijfimilicosìfifpiegal
Arfit obìcUri dea clara Mundi
Nó5fce deferta -, nitidofque fratri
Tradidit currus aliter regendos :
Ille no&umas agitare bigas
Difcit , & gyro breviore fleófci,
E credeafi , che le mancanze della Luna nafcèano dalt
andar èffa a jlarfi con Endimione -, come leggiadra*
mente Callimaco de coma Ber. così tradotto da Catullo.
Ut Triviam furtim fub Latrhia faxa relegans
Dulcis Amor gyro devocet àério.
La Jlejfa immagine fi vede in Seneca Hipp. 782. e fegg.
Quejlo fiejfo ebbe forfè in penfièro il pittore nel fa?
qui la Luna $ che fi accofla al volt» di Endimione »
TAVOLA IV.
III.
*S
del tutto t'8) , cadendogli il manto di color rojfo fotto il
defiro braccio , con cui fi appoggia al faifo, e tiene trai-
le dita due dardi ^ : i capelli {compigliati, e che gli ca-
dono su gli omeri *> fono ftretti da umfqfcetta , che gli
cinge la fronte (IO) : e vicino fi vede la Lu?ta mancante(nX
condo alcuni Ftìr fu figlio di Endimione , da cui eb-
be il nome il paefe ,e il monte: fecondo altri > che così
fu detto un monte della Ciria per V abbondanza delle
pine , i di cui frutti fon detti Cbdéìpeq , o altrimenti
spofii'Ax, , perchè fon fimili (P9sipai : ($9siplg Ss Tiiyov-
voci oi y.xpnoì Tiiy ixnùw», tjtoi rx 7ièyó[xsvcc ?^oj3/Aa; -,
ori s'oìkugi tydsipaìv. Che i nomi di 7rirùg 5 e tsuth Jt
fcambiano fpeffo per la finìilitudine del pino coli' albe-
ro della pece , è come quejlo fi adornigli All' abeti, fi
veda in Salmafio Hyl. Jatr. p. 82. cap. 65> e la ra-
gione di tal demmin.iziom di quei frutti -può anche
vederfi in Euflazio sul verfo dell' Iliade lì. QdsipZs
T opog dxpiTÓQuTtft.0',/. Sembra dunque -, che quejì' albe-
ro fi fia qui voluto rapprefentare . A.d ogni modo Q.
Calabro X. 131. dice , che il letto d' Endimione era
fotto le querce vicino all'antro delle Ninfe , dove fi
vedeano delle pietre bianche in modo -, che fenibravarì
da lontano , come fé vi fojfe latte fparfo » creduto il
latte delle vacche di Eridinìione .
(8) Properzio II. El. 12. v. 15 »
Nudus &£ Endyrrtion Plioebi cepiffe forórenì
Dicitur , & nudae concubuiffe deae .
(9) Luciano nel cit. dialogo così lo deferiva: ora')
smfa?&ó[is>OQ ini t7# tìs'fgòcg t^j y^scfwSa xuds'ufy t
57? hctiet [dv "syj>y) tx, ctKÓ/rix , %5yj sk tTjq ysipàg ùrto^-
géovrx : quando buttata la clamide fopra una pietra
dorme , tenendo nella finiflra i dardi , che quafi già
gli fcappano di mano « Ed è proprio t che abbia in mano
i dardi , ejfendo cacciatore t come da Luciano à e da-
gli Scoliafii di Apollonio , e di Teocrito fi dice : ben-
ché non manchi chi lo fupponga pajloré . Servio Georg.
III. 391. dove il poeta dice.
Munere fic hiveo lanae lì Credere dighum efì:,
Pan deus Arcadiae captam te , Luna » fefellit
Innemorà alta vocans; nec tu afpernatavocanteni:
così fcrive : Mutat fabulam ; nani non Pan $ fed En-
dymion amaffe dicitur Lunam ; qui fpretus pavit pe-
cora candidiflima , & fic eam in luos illexit amplexus:
cujus rei myftici volunt quandarrì fecretarri effe ratio-
herrì . È così anche Fulgenzio 1. e, e lo Scoìiajlè di
Giovenale Sat, X. 318. e Teocrito Id. XX. 37.
E'i/SufJu'w Si ti'q %i> ; è ftitótog ; "ons SsA^à
BSKOÀsoncc (pl'TMGSV »
Endimion chi fu ? Non fu bifólco t
E pur bifolco élTendo , il baciò Cintià ,
è così anche Ranno XIII. 554. è XLVIII. 668. anzi
Marziano Capella IX. p. m. %6f. lo chiama porcaro^
fubulcum ; fé pur non fi legga bubulcum .
(io) Con quejla fafeetta -, ò diadema fi volle dire»
che il pittore uvea forfè additato -, che Endimion e fu
Re . Infoiti Ibico preffo lo Scoliajìe di Apollonio nel
C. li dice ì che fu Re di Elide : benché altri dijlingua^
no il Re dal pajlore .
(li) Per togliere ogni dubbio s che quejlo fia En*
dimione vi ha il pittore aggiunta anche la Luna man->
canta . tri un marmo pubblicato dal Sandrart j e fpie-
gato dal Gronoviò A. G. To. L Tab. 0. fi vede Ict
Luna ì che feerìdà dalla fua biga ± accompagnata dtt
molti Amorini , è fi ferma a contemplare Endimionet
che dorme unito al Sonno . Il nojlro pittore con più fem~
plicità j è con maggior leggiadria rapprefenta la Luna
fola , e fenza la biga -, è tirata a braccio * quafi per
forza cojlretta j da A.more j che fi accoda timida 6
vergognofa ad Endimione -, che dorme . Seneca Hippol.
Vi 308. e fegg. confantafianondijfimilicosìfifpiegal
Arfit obìcUri dea clara Mundi
Nó5fce deferta -, nitidofque fratri
Tradidit currus aliter regendos :
Ille no&umas agitare bigas
Difcit , & gyro breviore fleófci,
E credeafi , che le mancanze della Luna nafcèano dalt
andar èffa a jlarfi con Endimione -, come leggiadra*
mente Callimaco de coma Ber. così tradotto da Catullo.
Ut Triviam furtim fub Latrhia faxa relegans
Dulcis Amor gyro devocet àério.
La Jlejfa immagine fi vede in Seneca Hipp. 782. e fegg.
Quejlo fiejfo ebbe forfè in penfièro il pittore nel fa?
qui la Luna $ che fi accofla al volt» di Endimione »
TAVOLA IV.