Sculture
DICHIARAZIONE DELLE TAVOLE
Tav. 4l2.
Tal è la nota presa da me guardando il monumento con.
la luce di un sottil cero. Vedo che la fotografia"edita dai.
D'Alessandro non è d'accordo col disegno che si conserva
nella sagrestia Vaticana. Non avendo ottenuto di vedere
da presso il monumento a tutto mio agio e di farne fare
un esatto disegno, mi scuserò coi miei lettori, se ho piut-
tosto rappresentata la fotografia quanto alla veduta gene-
rale: perocché quanto agli ornati di avorio che abbellario
la sedia e non erano nella fotografia, io li ho presi dal di-
segno predetto, qual si è pubblicato dalla Società degli An-
tiquarii di Londra. Del resto non ho dato a tutti questi
particolari quella importanza che al mio scopo non debbono
avere, stando saldo che la pretesa Cattedra di S. Pietro
non è la sedia di Carlo il Calvo, e questa non è la Cattedra,
passandovi tra mezzo non meno di nove secoli d'intervallo.
I numeri dinotano le tavolette, che sono 17, perocché la
tavoletta undecima è il doppio più lunga, ed ha due rappre-
sentanze. Tutte poi sono di una-medesima mano e apparten-
nero, a quanto pare, ad un medesimo arnese donde furono
staccate per adornarne comunque questa parte della sedia.
Il modo come sono scolpite è quale si usò nei lavori detti
alla damaschina e all'agèmina, e si fa segnando i contorni
delle figure e scavando la superficie interna per coprirla di
una sottile lamina di oro, che oggi manca quasi per tutto.
Il lavoro mi sembra dell'undecimo secolo incirca, e godo
che contemporaneamente il eh. sig. Alessandro Nesbitt, lo
stesso parere abbia manifestato alla Società degli Antiquarii
di Londra, come mi attestò in una sua visita allorché io
dimorava in Parigi.
Ma passiamo alle strisce di avorio traforate a sottosquadro,
che adornano la spalliera della sedia e i piedi e le braccia.
Quivi nel mezzo di quella striscia che fregia la base del
triangolo si vede un busto d'uomo con corona gigliata in
capo, che ha nella sinistra un globo, e nella destra uno
scettro ma rotto e mancante. Questo personaggio reale porta
il mento raso, ma non il labbro superiore che è ben nutrito
di mustacchi: il suo aspetto è quale si rappresenta Carlo
il Calvo sopra una notissima pagina della Bibbia da lui
donata a S. Paolo fuori delle mura e'che si conserva tuttora
in quella sagrestia; inoltre nel bronzo del sig. Lenoir creduto
di Carlo Magno {Univ. Pittor. Atlas, tom. I, tav. 168,
al. 166). Avverto per altro, che nel libro di preghiera appar-
tenuto a Carlo il Calvo, ov'egli e ritratto sul frontispizio,
oltre ai mustacchi porta eziandio alquanti peli al mento'. Non
è del resto possibile confondere questo ritratto con quello di
Carlo Magno, perocché è dimostrato che Carlo Magno oltre
ai mustacchi portò anche la barba; e così vedesi rappresen-
tato nei due musaici contemporanei di Leone III, voglio dire
nel triclinio e in S. Susanna, editi dall'Alemanni (De Laterali,
pariet. tav. I, e IX. Vedi le nostre Tavole 282, 283). Il
P. Maimbourg (Hist. des Iconoclastes, lib. IV, 1679, pag. 78)
afferma sulla fede di Eginardo, che Carlo aveva il mento
raso alla romana come i Cesari, quantunque ai pittori sia
piaciuto dargli una lunga barba alla moda degli antichi Dei.
Ma egli è certo che Eginardo non parla di ciò, e fa mera-
viglia che il Maimbourg lo citi così a caso dopo aver prote-
stato nella prefazione di aver accuratamente confrontato ed
esaminato i testi dei quali fa uso. Intorno a quest'argomento
è degno di esser letto il Syntagma de Sigillis dell' Heineccio
(pag. 81 e seg.), e di esser citato il piombo edito dal Vignoli
(Notae in Anastasii Leonem III, pag. 2 54), quantunque le
forme del principe vi siano appena espresse; però si hanno
meglio delineate nel nummo edito dal Le Blanc (Trattehisto-
rique des monnaies de France, 1703, pag. 88, n. i3). Verso il
busto imperiale ora descritto muovono quattro vittorie alate,
due delle quali recano a lui corone, due gli presentano palme;
mentre a destra si vedono espressi combattimenti singolari
dei soldati dell'Imperatore che menano strage dei nemici.
Sugli altri-avorii del timpano sono notevoli in cima i due
busti che sembrano dovere esprimere i due Apostoli; ma
non oso darlo per certo, perchè veduti da me nel disegno
imperfetto che solo se ne conserva come l'ho espresso nella
mia Tavola. Generalmente poi e qui e sugli altri avorii della
sedia fra le volute di acanto si hanno figure nella maggior
parte di centauri ovvero di uomini che cavalcano animali
anche fantastici, uccelli e quadrupedi e pesci e fiori e dove
una testa di leone, dove una tritonica che ne fanno la de-
corazione; cose tutte imitate o copiate dai grotteschi di buona
epoca, ma trattate in quella povera maniera nella quale po-
teva un artista intagliatore anche eccellente del secol nono.
Noterò di veduta che non tutti gli avorii mi sono sembrati
di una mano, né al loro posto primitivo: ma di ciò si potrà
parlare con cognizione, allorquando si potrà fare un disegno
esatto di questa sedia così singolare. Nel mio piano altro
non entrava che di mostrare ciò che a tutto diritto mi
appartiene, non esser la sedia cogli avorii, né di Pudente
Senatore, né dei tempi di Claudio, ma sì dell'epoca Carlo-
vingia; facendo cessare per sempre le contese non mai ter-
minate, mentre alcuni si ostinano a volere che le fatiche di
Ercole appartengano originalmente alla sedia eburnea la
quale dicono essere curule del senatore Pudente, e altri ne-
gano a ragione che ai tempi di Claudio si potesse avere
una sedia di quel disegno e di quell'arte, tutta del medio evo,
che vi è sì evidente e manifesta. Si sa poi che S. Pietro fu
ospite di Pudente, ma non si sa che quel senatore abbia
mai occupata una magistratura curule: nel qual caso sa-
rebbe anche strano il volere che quel distintivo di magistra-
tura si conservasse da ciascuno nella propria casa.
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DICHIARAZIONE DELLE TAVOLE
Tav. 4l2.
Tal è la nota presa da me guardando il monumento con.
la luce di un sottil cero. Vedo che la fotografia"edita dai.
D'Alessandro non è d'accordo col disegno che si conserva
nella sagrestia Vaticana. Non avendo ottenuto di vedere
da presso il monumento a tutto mio agio e di farne fare
un esatto disegno, mi scuserò coi miei lettori, se ho piut-
tosto rappresentata la fotografia quanto alla veduta gene-
rale: perocché quanto agli ornati di avorio che abbellario
la sedia e non erano nella fotografia, io li ho presi dal di-
segno predetto, qual si è pubblicato dalla Società degli An-
tiquarii di Londra. Del resto non ho dato a tutti questi
particolari quella importanza che al mio scopo non debbono
avere, stando saldo che la pretesa Cattedra di S. Pietro
non è la sedia di Carlo il Calvo, e questa non è la Cattedra,
passandovi tra mezzo non meno di nove secoli d'intervallo.
I numeri dinotano le tavolette, che sono 17, perocché la
tavoletta undecima è il doppio più lunga, ed ha due rappre-
sentanze. Tutte poi sono di una-medesima mano e apparten-
nero, a quanto pare, ad un medesimo arnese donde furono
staccate per adornarne comunque questa parte della sedia.
Il modo come sono scolpite è quale si usò nei lavori detti
alla damaschina e all'agèmina, e si fa segnando i contorni
delle figure e scavando la superficie interna per coprirla di
una sottile lamina di oro, che oggi manca quasi per tutto.
Il lavoro mi sembra dell'undecimo secolo incirca, e godo
che contemporaneamente il eh. sig. Alessandro Nesbitt, lo
stesso parere abbia manifestato alla Società degli Antiquarii
di Londra, come mi attestò in una sua visita allorché io
dimorava in Parigi.
Ma passiamo alle strisce di avorio traforate a sottosquadro,
che adornano la spalliera della sedia e i piedi e le braccia.
Quivi nel mezzo di quella striscia che fregia la base del
triangolo si vede un busto d'uomo con corona gigliata in
capo, che ha nella sinistra un globo, e nella destra uno
scettro ma rotto e mancante. Questo personaggio reale porta
il mento raso, ma non il labbro superiore che è ben nutrito
di mustacchi: il suo aspetto è quale si rappresenta Carlo
il Calvo sopra una notissima pagina della Bibbia da lui
donata a S. Paolo fuori delle mura e'che si conserva tuttora
in quella sagrestia; inoltre nel bronzo del sig. Lenoir creduto
di Carlo Magno {Univ. Pittor. Atlas, tom. I, tav. 168,
al. 166). Avverto per altro, che nel libro di preghiera appar-
tenuto a Carlo il Calvo, ov'egli e ritratto sul frontispizio,
oltre ai mustacchi porta eziandio alquanti peli al mento'. Non
è del resto possibile confondere questo ritratto con quello di
Carlo Magno, perocché è dimostrato che Carlo Magno oltre
ai mustacchi portò anche la barba; e così vedesi rappresen-
tato nei due musaici contemporanei di Leone III, voglio dire
nel triclinio e in S. Susanna, editi dall'Alemanni (De Laterali,
pariet. tav. I, e IX. Vedi le nostre Tavole 282, 283). Il
P. Maimbourg (Hist. des Iconoclastes, lib. IV, 1679, pag. 78)
afferma sulla fede di Eginardo, che Carlo aveva il mento
raso alla romana come i Cesari, quantunque ai pittori sia
piaciuto dargli una lunga barba alla moda degli antichi Dei.
Ma egli è certo che Eginardo non parla di ciò, e fa mera-
viglia che il Maimbourg lo citi così a caso dopo aver prote-
stato nella prefazione di aver accuratamente confrontato ed
esaminato i testi dei quali fa uso. Intorno a quest'argomento
è degno di esser letto il Syntagma de Sigillis dell' Heineccio
(pag. 81 e seg.), e di esser citato il piombo edito dal Vignoli
(Notae in Anastasii Leonem III, pag. 2 54), quantunque le
forme del principe vi siano appena espresse; però si hanno
meglio delineate nel nummo edito dal Le Blanc (Trattehisto-
rique des monnaies de France, 1703, pag. 88, n. i3). Verso il
busto imperiale ora descritto muovono quattro vittorie alate,
due delle quali recano a lui corone, due gli presentano palme;
mentre a destra si vedono espressi combattimenti singolari
dei soldati dell'Imperatore che menano strage dei nemici.
Sugli altri-avorii del timpano sono notevoli in cima i due
busti che sembrano dovere esprimere i due Apostoli; ma
non oso darlo per certo, perchè veduti da me nel disegno
imperfetto che solo se ne conserva come l'ho espresso nella
mia Tavola. Generalmente poi e qui e sugli altri avorii della
sedia fra le volute di acanto si hanno figure nella maggior
parte di centauri ovvero di uomini che cavalcano animali
anche fantastici, uccelli e quadrupedi e pesci e fiori e dove
una testa di leone, dove una tritonica che ne fanno la de-
corazione; cose tutte imitate o copiate dai grotteschi di buona
epoca, ma trattate in quella povera maniera nella quale po-
teva un artista intagliatore anche eccellente del secol nono.
Noterò di veduta che non tutti gli avorii mi sono sembrati
di una mano, né al loro posto primitivo: ma di ciò si potrà
parlare con cognizione, allorquando si potrà fare un disegno
esatto di questa sedia così singolare. Nel mio piano altro
non entrava che di mostrare ciò che a tutto diritto mi
appartiene, non esser la sedia cogli avorii, né di Pudente
Senatore, né dei tempi di Claudio, ma sì dell'epoca Carlo-
vingia; facendo cessare per sempre le contese non mai ter-
minate, mentre alcuni si ostinano a volere che le fatiche di
Ercole appartengano originalmente alla sedia eburnea la
quale dicono essere curule del senatore Pudente, e altri ne-
gano a ragione che ai tempi di Claudio si potesse avere
una sedia di quel disegno e di quell'arte, tutta del medio evo,
che vi è sì evidente e manifesta. Si sa poi che S. Pietro fu
ospite di Pudente, ma non si sa che quel senatore abbia
mai occupata una magistratura curule: nel qual caso sa-
rebbe anche strano il volere che quel distintivo di magistra-
tura si conservasse da ciascuno nella propria casa.
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