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Geymüller, Heinrich von; Raffael; Raffael [Ill.]
Raffaello Sanzio: studiato come architetto con l'aiuto di nuovi documenti — Milano, Napoli, Pisa: Ulrico Hoepli, 1884

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https://doi.org/10.11588/diglit.74189#0129
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RIASSUNTO E CONCLUSIONE

delle quali ai dì nostri si fa poco caso, o clic per lo
meno vengono trattate colla indifferenza die nasce
dall’ ignoranza.
Se Alberto Durerò solo si fosse occupato di queste leggi
delle proporzioni si potrebbe forse essere alquanto incre-
dulo sul valore di coteste ricerche non essendo l’armonia
delle forme il principale suo merito. Ma vedendo anche
l’Alberti, Fra Giocondo, Leonardo da Vinci, Francesco
di Giorgio studiare la quadratura dei corpi dell’uomo
e Bramante in oltre quella del cavallo ; mi pare che
questo fatto dovrebbe condurci a qualche riflessione.
Confesso che nella mia ignoranza mi sono doman-
dato spesse volte come codeste regole potessero servire
a casi così varii nella pratica ; io non ci capiva nulla,
m’imaginai che solo i grandissimi ingegni fossero capaci
di applicarle e di trovare in siffatte regole come una
guida o una conferma alle proporzioni che mercè la
loro natura superiore erano inclinati ad adoprare na-
turalmente. Tuttavia avendo principiato a fare alcune
poche ricerche sulla natura delle linee e sugli ele-
menti che in certe armonie esistevano, ho capito a poco
a poco cose a me prima ignote e che vedo poter es-
sere di grande aiuto. Per esempio, se ora avessi a fab-
bricare un castello in cima ad una collina, ho qualche
ragione di sperar che potrei dargli un contorno in
armonia colle linee del sottoposto monte, mentre prima
mi sentiva assolutamente abbandonato ai casi della
cieca fortuna.
E se non fosse che per imitare la modestia mirabile
di Raffaello e l’esempio di Bramante, — il quale fra
una o due generazioni verrà riconosciuto il più grande
architetto di tutti i tempi, -— non riuscirebbe inutile
ai dì nostri il tentare d’intendere un poco le cose da
quei grandi, di natura già tanto superiori a noi, ri-
cercate con tanto studio.
Sono persuaso che l’architettura dei nostri tempi ne
sentirebbe profitto. Uno dei suoi maggiori difetti è il
credere, per reazione contro eccessi opposti di un’epoca
precedente, che se una disposizione è in qualche modo
intelligibile, utile, consentanea alle leggi statiche, ciò
basti, e ne risulti pure necessariamente la bellezza.
Mi pare inoltre che nell’intento lodevole senza dubbio
di far corrispondere l’esterno di un edifizio all’interno,
alcuni esempi moderni siano pure andati oltre lo scopo
facendo edifizi analoghi a corpi scorticati.
E precisamente per quistioni di siffatto genere l’epoca
di Raffaello è interessante. Prima si facevano i palazzi
di pianta e di alzato per lo più. uniformi e rettango-

lari. E ammesso Bramante essere stato il primo nella
Cancelleria a fare negli angoli delle facciate dei corpi
salienti, ma il Belvedere di Innocenzo Vili ne mostra
un esempio anteriore che pare proprio avere ispirato
Raffaello nella Farnesina.
La modestia di Raffaello a noi si mostra veramente
squisita vedendolo, il giorno stesso della sua nomina
al più alto posto di architetto che allora vi fosse, a
trentun’ anni, scrivere ad uno zio, verso il quale un
qualche sentimento di orgoglio sarebbe stato scusa-
bile, le note parole: «Mi ha dato un Comp.0 Frate
doctissimo e vecchio de più d’octant’anni, el Papa vede
che ’l puoi vivere podio, ha risoluto S. Santità dar-
melo per compagno eh’ e huomo di gran riputazione
sapientissimo acciò eh' io possa imparare, se ha alcun
bello secreto in architettura, acciò io diventi perfettis-
simo in quest'arte', ha nome Fra Giocondo. »021
Pochi giorni dopo, non contento che il suo modello
per S. Pietro piacesse a S. Santità e fosse lodato da
molti belli ingegni, scrive a Baldassar Castiglione : « Ma
mi levo col pensiero più alto. Vorrei ritrovare le belle
forme degli edifizi antichi, nè so se il volo sarà d’Icaro.
Me ne porge una gran luce Vetruvio, ma non tanto
che basti. »63)
Questo perpetuo studiare di Raffaello è una delle
qualità più mirabili in un tanto genio e uno dei se-
greti di quel continuo progredire. In tutte le sue pro-
duzioni autentiche non si trova forse una sola linea che
mostrasse la più lieve traccia di trascuranza. Nella più
grande fretta, la facilità e la furia del tratto sono sempre
oneste e non mai macchiate da quel chic maschera bu-
giarda dietro la quale si nasconde la pigrizia e la vanità
che rendono inabili a giungere alla vera bellezza.
È un miracolo che Raffaello potesse resistere tanto
tempo alla continua fatica del creare, ed in direzioni
tanto variate. Il solo enumerare le traccie della sua
attività nel campo dell’architettura e nel raccogliere i
disegni per il ristauro della Roma antica desta maravi-
glia. E accanto a questi lavori veder continuare quelli
della pittura!
Una tale esistenza non può figurarsi senza l’aiuto
di numerosi scolari e disegnatori e come Vasari parla
dei « cinquanta pittori, tutti valenti e buoni, che gli
facevano compagnia, » così nei lavori architettonici ve-
diamo quasi in tutte le fabbriche a lui attribuite il
nome di qualche altro architetto connesso a codesti
edifizi. Per San Pietro vediamo alla fine del 1516 che
Raffaello chiese aiuto « e gli fu dato Antonio da San-

82) Pungeloni, op. cit., pag. 159.

8S) Lettere pittoriche, I, pag. 116.
 
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