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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Vitelli, Girolamo: Spicilegio florentino, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0014

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- 4 -

Platone, mi sembrava indispensabile ricorrere al-
l'unico codice che avrebbe potuto servire di base
a critica ragionevole. La collazione in fatti di
buona parte dell' opera corrispose interamente alla
aspettazione. Ma intanto seppi per cortesia del
prof. Schanz di Wùrzburg che già Cobet nel 2° vo-
lume della nuova f Mnemosyne ' (1874, p. 261-282)
ed E. Hiller nel 107° volume dei Jahrbùcher del
Fleckeisen avevano pubblicato dal nostro codice, il
primo tutto ciò che aveva importanza per Platone,1)
il secondo tutte le ' correzioni sicure ' dell'opera di
Giamblico. La comunicazione del Cobet (che io ho
potuto vedere grazie alla gentilezza del prof. Carlo
Schenkl), insufficiente perchè limitata ai luoghi pla-
tonici, è quasi sempre esatta. Egli ha usato di una
collazione di I. Rutgers, ' qui omnes intricatos et
perplexos literarum ductus peritissime expedivit ' ;
uè io intendo detrarre a questa lode. Ma ciò non
esclude che qualche inesattezza vi sia : p. 64,1 Kiessl.
óisld-ovaa (Hiller rettamente óieì-eld-ovaa) ; p. 72,12
7Tagà avràg; p. 90, 5 eneixa òi (senza annotare che
il óè è omesso nel codice) e altre piccolezze. In-
sufficiente è anche la comunicazione dell'Hiller, il
quale, come dicevo, intende dare soltanto le cor-
rezioni sicure che si ricavano dal codice. Un largo
campo è lasciato così alla sua appreziazione in-
dividuale. Io per la mia parte mi meraviglio di
non avervi trovato menzione di correzioni come
queste: p. 32, 8 srtfKfoóiwót]; 52, 16 òiioloyia xxX.;
60, 11 àvalvasbv; 66, 20 /}' ovdèv-yiyvevai; 98, 14
smrvxrjg etc.2) Insufficiente è anche la prova di
collazione che pubblico ora io, ma se questo sag-
gio vorrà indurre qualche dotto benevolo a comu-
nicare intorno agli apografi del Laurenziano noti-
zie più esatte e più copiose di quelle che c'è da
ritrarre dal Kiessling, un volenteroso giovane filo-
logo del nostro Istituto di Firenze, il signor E. Pi-
stelli, non risparmierà cure e fatiche per dare una

>) Un esempio del come si possa essere ingannati da
una cattiva edizione ci è fornito dal Cobet nello stesso
volume 2° della Mnemosyne, in cui ha pubblicato la col-
lazione del Rutgers. A p. 137 a proposito di Plat. Gorg.
p. 493 A (xai rjtueìg rm ovxi 'iaug xé9-uc.fj.ev)\ ' Expungen-
dum est ìowg quod cum caeteris pugnat.... et optime
omissum est apud Iamblichum ubi mine Platonis locum de-
scribit in Protreptico cap. XVII. ' Ma più giù egli stesso,
p. 270, nota che il codice non omette iows (e non lo omette
davvero), senza perQ aggiungere se egli continua nono-
stante a credere alla sua atetesi.

-) Del luogo platonico, p. 70, 21, per lapsus calami è ri-
petuta senza altro l'erronea lezione degli apografi xoutvxi]v

edizione del nQoigtrcuxóg quale oggi si avrebbe il
diritto di esigere.

Interessanti sono le indicazioni sticometriche che
si leggono in fine di ciascuno dei quattro libri di
Giamblico, perchè scritte nell'antico sistema di
numerazione. Queste indicazioni non pare sieno
state trascritte in nessuno dei numerosi apografi
del Laurenziano, ed è notevole che di quanti finora
ebbero fra mani il codice (compreso Hiller che pure
si è occupato altrove 3) dottamente, come suole,
e accortamente della sticometria Loboniana dei
Sette Savh) nessuno le abbia fatte conoscere.

Alla fine del primo libro (f. 46T) troviamo dun-
que in rosso:

XXXX NN 7A AAAA
alla fine del secondo (f. 82v):

XXX NNNN TA A A A IMI
alla fine del terzo (f. 115T):

XX IA HH A A il
e alla fine del quarto (f. 162v):

XXX ri AAAA

Da ciò resulta chiaramente che non possiamo
più dire col Wachsmuth (Rh. Mus. 34 [1879] p. 45),
che a tempo di Plutarco queste antiche forme di
numeri erano f affatto fuori d'uso ', nè ammettere
col Birt4) che fossero andate in disuso appunto
nel corso del primo secolo dopo Cristo. Il nostro
codice prova che almeno un paio di secoli dopo
questo termine, se pure non più tardi ancora, si
continuava ad usarle.

Per quel che riguarda poi le indicazioni stesse,
è chiaro che il bravo copista del secolo XIV (e
forse già molti dei suoi predecessori) non capiva
quello che meccanicamente trascriveva: così per es.
le centinaia H diventano N, il ITI diventa IA oppure
TI, il f£\ diventa [~A etc.B) Ma fortunatamente

ovv óù Bmaxì]iii]v. Nel luogo sopra citato p. 32, 8 Kiessl.
gli apografi pare abbiano ènuauaSt] e ènaaioiói], donde lo
Scaligero ènovanó^ij: ma già Hemsterhuys e Crist. Gott.
Miiller avevano desiderato ineHxodiiófy. Uno scambio ana-
logo occorre nei mss. di Porphyr. Isagog. c. 16 p. 6b 2
Brandis.

s) Rhein. Mus. 33 (1878) p. 518 sqq.

*) Das antike Buchwesen p. 203. Cf. p. 183.

8) Analoghi errori nella sticometria Demostenica (per
es. Falsa Legazione, 2" e 3* Filippica etc.) e di altri au-
tori si possono vedere nelle non mai abbastanza lodate
tavole del Graux, Rev. de Philol. II (1878) p. 100 sqq.
Cf. Birt p. 191.
 
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