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Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

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Comparetti, Domenico: Frammenti dell'etica di Epicuro tratti da un papiro ercolanese
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https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0079

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- 68 -

parti perdute di quelle colonne. La menzione però
delle Kvqiai Jógai fatta a quella maniera fu il primo
motivo che mi fece sospettare di avere dinanzi uno
scritto di Epicuro stesso. Se l'autore si fosse sem-
pre servito della prima persona, come fece con
queir V7ts[ivrjffaf.isv, non ci sarebbe duopo d'altre
ragioni ; ma poiché, nel parlare di scritti proprii ha
preferito, secondo un uso ben noto, una forinola
impersonale, non sarà vano eliminare con altre os-
servazioni i dubbi che ciò potrebbe far rimanere.
Ed eccone dapprima una di natura tale che, men-
tre può ricever essa stessa conferma da quanto
affermiamo, può pure in pari tempo servire a con-
fermarlo.

A col. XVII l'autore parlando del cipiglio di certi
tali che di nulla si allietano ed a nulla sorridono,
per dare una più evidente idea di questa condizione
dell'animo loro, aggiunge: xaì nàtìiv à%aqi(S%ov^i
nàliv del MHA££NAOTC0l y.atantQkipavti fiera
diuytlù)Tog em(po)VOvvTeg. Che MHA££NAOTC3I,
quale leggesi nel ms., contenga un errore, è cosa
che ognun vede, come pure ognun vede che qui
si deve cercare il nome di un attore, trattandosi
di uno il quale recitava la parte di un uomo preso
da tal pazza foga di riso che ne moriva; e pare
ciò facesse con tale effetto sul pubblico che as-
solutamente conveniva essere un uomo burbero
assai e incontentabile per non seguirlo nella ilare
azione ed applaudirlo {ènupwvovvteq). Tenendo conto
di questi dati e del numero delle lettere errate,
io credo aver ritrovato la vera lezione restituendo
in quel luogo firjà' cHqoóóto). Ora, questo Erodoto
era un famoso ioyóf.ufiog appunto dei tempi di
Epicuro. Di lui parla Ateneo (I, 19) riferendo ch'ei
divenne uno dei favoriti del re Antioco II. Vera-
mente, il fatto di cui parla Ateneo è di alcuni
anni posteriore alla morte di Epicuro, poiché sap-
piamo che Antioco II salì sul trono nel 261 av.
Cristo, quando Epicuro era già morto nel 270. Ma
Ateneo non dice affatto che alla corte di Antioco
cominciasse la rinomanza di colui, e ben può am-
mettersi ch'egli si acquistasse celebrità sul teatro
di Atene negli ultimi tempi della vita di Epicuro,
e più tardi, uscito in gran grido anche fuori di
Atene, toccasse il colmo della sua buona fortuna,
quando salì sul trono quello scioperato che fu re
Antioco II. Calcolando, senza iperbole, la 'durata
media della vita teatrale di un attore a 25 anni,
risulterebbe che quest'opera dovette essere com-
posta all'incirca nell'ultimo quindecennio della vita

di Epicuro. Essa stessa ci dice esser posteriore alle
KvQiai Jó'§m, di cui non sappiamo la data, ma che,
riassuntiva com'è, appartiene certamente ad un
periodo avanzato dell'esistenza di Epicuro, quando
e la sua dottrina era già a fondo elaborata, e la
scuola e l'amichevole società dei xrjjroi, per uso
di cui quel libretto fu scritto, già organizzata e
fiorente. E se non andiamo errati, dalle parole con
cui il libro si chiude, si può anche sospettare che
fosse composto quando Epicuro era già affetto da
quella malattia che lo trasse a morte (ved. la nota
a col. XXIII).

Altre conferme di non picciol momento possono
desumersi dal contenuto stesso di questi fram-
menti, così per la sua sostanza come per la sua
forma. Ed invero, qui non si tratta di quegli svi-
luppi od applicazioni più o meno verbose, più o
meno oziose, della dottrina epicurea che siamo av-
vezzi a trovare nelle opere di Filodemo di cui ci
hanno saziati questi papiri ercolanesi ; qui trattasi
invece del nucleo stesso di quella dottrina e dei
principii suoi più fondamentali. Così, a mo' di esem-
pio, se si guarda, a col. XIII, in qual forma e in
qual toijp viene affermato il principio cardinale del.
l'etica Epicurea, quello cioè della sua dipendenza
dalla fisica, ognuno riconoscerà che ivi colui che
parla è colui stesso che primo pensò e sostenne
quel principio. Altrettanto dicasi del principio enun-
ciato a col. IV {neQiyCveTai yàq xtX.), e di quanto
offre la col. V (che trova esatto raffronto nella let-
tera a Meneceo, D. L., X, 27, 127, là dove dice
àvcdoyitìzéov óì xvk., ed anche nei n. VII e XXXI
delle Kvqiai Jógai), e di altri luoghi che il lettore
facilmente potrà da sè stesso notare. Il tono di
tutto questo scritto evidentemente non è quello
del discepolo o dell'adepto, che ripete, applica o
sviluppa teorie non sue, ma quello del maestro che
afferma ed insegna.

E ben si riconosce qui anche, insieme al fare
proprio di Epicuro, magistrale e dogmatico, quella
sua ricchezza di pensiero proprio per la quale ei
procedeva sempre con mezzi esclusivamente suoi,
affatto schivo di ogni erudizione, e più ancora di mai
appoggiarsi sull'autorità altrui. In questi frammenti
tutto è pensiero, ed è pensiero dell'autore esclusiva-
mente ; non c'è una sola citazione, non mai un esem-
pio di quella mendicità intellettuale che tanto distin-
gue il piccolo Filodemo. Qui si verifica a capello ciò
che D.L. dice dei libri di Epicuro [(X, 17): ytyQantai
óè [iccqtvqiov t'^wdeì' ev avroìg ovótr, ài/,' avxov eìaìr
 
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