Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

Museo italiano di antichità classica — 1.1884/​85

DOI Artikel:
Comparetti, Domenico: Frammenti dell'etica di Epicuro tratti da un papiro ercolanese
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.9011#0080
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
- 69 -

'Ettixovqov tpwvttt. Quanto poi Epicuro fosse geloso
delle idee sue, e quanto esigente e suscettibile per
questo lato, obbligando i suoi scolari fino a ripetere
a parola i suoi dogmi, e ad impararli a mente, e •
dettando per essi compendii e manuali e lettere,
spiegando e ripetendo sempre per non esser frain-
teso, è cosa ben nota, e il nostro papiro ciò con-
ferma mostrandolo irritato contro taluni che, nella
sua scuola o fuori, aveano male inteso certe sue pa"
role (ov ... xa6a7T£Q è'Ssdb'Savró rivsg dyooixùig), il che
trova raffronto anche in un luogo del Ilegì cpvcrsag
venuto in luce da un papiro portante il nome del-
l'autore (. . xcà ov xatìuTTSQ Tivèg av ixóè'gcuvTO, xtX.
Coli, alt., VI, pag. 45, Gomperz, Neue Bruchstiicke
Epikur's insbesondere iibcr die Willensfrage, pag. 8).

Ne discorda il nostro testo da quanto dicono gli
antichi circa lo stile di Epicuro, trasandato e non
curante della eleganza e circa il suo emanciparsi
in fatto di lingua, fino a servirsi di parole meno
approvate e anche a creare all'uopo vocaboli e lo-
cuzioni nuove. Qui vediamo che la struttura della
frase è talvolta dura (vedi, p. es., col. XVIII, Kcà
ói] xcà tcòv xtl.) e in generale affatto lontana da
quella ricerca di sonorità melodiche che tanto piace
agli scrittori greci più premurosi dell'effetto este-
tico. Vocaboli non registrati ne'lessici, singolar-
mente in fatto di composti, qui ce n'è parecchi
(ccveyxaQTSQrjTog, davyxXaGzoc, óictyeXmg ecc.), ma so-
pratutto uno assai notevole per energica evidenza
è queiràjioxaqtaoovvxai che leggesi a col. XX, il
quale sta ad esprimere in quel luogo il tanto ina-
bissarsi nel pensiero di una cosa dolorosa da far-
sene un inferno. Ma, d'altro lato, di mezzo a questo
stile disinvolto e non mai retorico, ed a queste ori.
ginalità di linguaggio traluce anche una bella ori-
ginalità di mente che si manifesta nel libero corso
di una eloquenza naturale, potente per larga fonte
d'idee e assecondata da vivace parola, e nel calore
di un convincimento profondo qual' è proprio di chi
tutta l'energia della sua vita concentrò e spese nel
meditare quei gravi problemi, nell'escogitare e for-
mulare quelle soluzioni e nel farne dotti e persuasi
gli altri. In più di un luogo si segue ancora con
trasporto quella parola, par di provare un'eco del
miracoloso prestigio ch'essa esercitò un tempo, e
si vede con vero dispiacere arrivar la lacuna che
l'interrompe sul più bello. Ciò sopratutto si sente
nei residui delle ultime colonne che recano la con-
chiusione e la chiusa del libro, chiusa ben onore-
vole pel grande pensatore e ben degna dell'ani-

ma sua tanto nobile ed onesta quanto forte ed
elevata.

Ed ora che abbiamo detto le ragioni che ci spin-
gono a riconoscere in questo testo un' opera di Epi-
curo, possiamo aggiungere che pareva strano in-
vero che in una biblioteca come quella dell'Epicureo
ercolanese, nella quale della fisica di Epicuro si è
potuto riconoscere l'esistenza di ben tre esemplari,
non esistesse nulla dell'etica del grande maestro,
mentre poi tanti scritti di argomento etico essa
conteneva di Epicurei del tutto secondarii, come
Polistrato, ed anche assai meno che secondarii,
come Filodemo. Questa strana anomalia viene dun-
que ora corretta dal riconoscere l'esistenza in
questa biblioteca anche di scritti etici di Epicuro
stesso.

Il soggetto del libro si vede chiaramente essere
quella parte dell'etica epicurea che più particolar-
mente distingueva questa dalla dottrina dei Cire-
naici. È ben noto infatti che mentre le due dottrine
s'incontravano nello stabilire per fine dell' operare
umano il piacere, Aristippo lasciava poi assai larga
ed indeterminata la definizione del piacere stesso ;
ma Epicuro contrapponendo all'idea del piacere
quella del dolore, nè mai disgiungendole nel rego-
lare il proporzionamento degli atti al fine, elimi-
nava tutti quei piaceri che potessero esser poi
cagioni di dolore, e non credeva da fuggirsi quei
dolori dai quali potesse poi risultare piacere (veg-
gasi questo principio formulato in modo notevole
nella col. IV, TtsQiyCvsrai yàq xvX. con espressioni
inverse o negative), ponendo il bene supremo nel-
Ydraqa^Ca per l'animo, nella vyi'sia pel corpo. Quindi
soggetto di speciale trattazione era nell'etica epi-
curea la dottrina di ciò che in ordine ai due termini
sopra accennati {piacere e dolore) chiamavasi con
forinola costante ai'qscrig xcà cpvyrj, dottrina tanto
essenziale in quel sistema che con quel titolo tro-
viamo talvolta indicato in modo generale il sub-
bietto di tutta l'etica. Ed in questa trattazione
non si determinava tanto, come alcuni hanno in-
teso malamente, quali fossero le cose da eleggersi
e da fuggirsi, quanto in qual maniera e con quali
norme dovessero aver luogo le moscrsig e le cpvyai.
Di ciò appunto si tratta nella parte superstite di
questo libro di Epicuro, nella quale vediamo che
l'autore parla più specialmente di alcune cagioni
per le quali avviene che gli uomini cadano in gra-
vissimi abbagli (óiumcótisic, naoaTCtmiiaxa) nelle
alQb'Gsig xcà cpvyai. E qui naturalmente vediamo ve-
 
Annotationen