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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 2.1893 (1894)

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Ricci, Serafino: Il "Testamento d'Epikteta": storia e revisione dell'Epigrafe; con testo, traduzione e commento
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https://doi.org/10.11588/diglit.9301#0082

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143

il « testamento d' epikteta «

144

des Symposion (Hug, Za Platons Symposion, 176 A),
può senza dubbio essere confermata (Paton-Hicks, Iti-
script, of Cos, n. 37; cfr. Jour. of hall, stud., IX,
p. 335: xaì ènitSnévSti ò Uqsvg xovioig oì'vov xqaxr'iqecg
TQeìg).— Poli., VI, 15: xqaxrjqsg óè, ó (lèv nqmxog Jiòg
'OXvfiniov xaì '()Xi\umo)v &sàv, ó óè óevxtqog fiocóoov, ò
óè xqixog Jiòg SmrrjQog xsXsi'ov .... — Ateneo, X (ed.
Kaibel. II, p. 459, 20) xoiyaqovv suoi (ft'qf, ftk'xqi ydq
xqiwv \òsìv~\, (paffC rifiàv xovg Osoig. Cfr. II, 3 (ed. Kai-
bel, I, p. 83, 8 e segg.). Ma in molti luoghi dell'iscri-
zione sopra citata, come in altre, abbiamo p. es.: xvXixeg
xqetg sxdffxov, xqu!/àv xqia ìLlt.iìiói}.ivu ecc.; oppure sì
usa il plurale neutro, che esclude per ciò stesso la voce
xqaxr]qag (p. es., Aristof. Cavai. 1187 A, %%e xaì msìv
xexQcéfisvov, xqia xaì óuo | Juìg ySvg, w Zev, xaì xà
voia (/t'oco'v xalojg. — Gratino presso Ateneo, I, 53, (ed.
Kaibel, 1, p. 68, 1-3) vvv ó'ar iàrj Mtvóaìov rj^còvr'
dqxmg oìvlffxov tntxai xdxolovdt-ì xaì Xéysi,' oì'fi o>g
drtaXòg xaì Xsvxóg • dq oiGti rqia. Tacendo anche dei
luoghi in cui non è fissata la quantità (p. es., Rangabé,
Aut. hell. II, n. 821, 1. 16, 17): xaì oì'vov naqèysiv
dqtdxòv fis'xQi «»' i'jXtog óvtj; escludendo le rappresen-
tanze vascolari che ci mostrerebbero per principio d'arte
un cratere solo, anche se più ne occorressero, non man-
cano i luoghi in cui è ricordato un cratere solo (v.
l'iscrizione citata di Cos. Paton, op. cit, n. 36 B 7 :
dvé&rjxa. . . . èóydqav xtxqdn\t\ óov xaì xqaxrjqa xaì

xdnvfxa.....). In ogni modo non era tanto comune,

nè costante in ogni luogo e in ogni tempo l'uso dei
tre crateri da doverlo sottointendere, a parer mio, in
un' espressione così vaga come &»c xqicàv mvóvxwv,
mentre in tutti i luoghi, o quasi, che si riferiscono a
crateri si cita esplicitamente questa voce. Il Keil sup-
plisce (ótndwv} zqiwv mvóvxon' — meglio, secondo
me, (Ttortiqimv) xqimv mvóvrwv; cfr. IV, 21-22 ini
xò nqàxov noxnqiov. — Il Cod. Ambr. (D 284 inf.)
ha nelle note al testo in questo luogo : &»g xqioìv,
TroirjQiwv ì'a. — L'espressione non ha valore se non
intendendo che si parli di vino bastante fino al terzo
giro, finché cioè si mesce per tre volte. Cfr. Dareste
in traduzione libera (op. cit., pag. 12, 1. 8, 9): en
sort qu'on puisse boire jusqu'à trois rep>rises. —
tqiwv. Il numero tre ricorre spesso e forse non senza
ragione nella nostra iscrizione; tre i giorni di riunione
(v. Comm. col. II, 33, p. 139) tre gli smfir)vioi (v. Comm.
a 1. e), tre i calici di vino, come s'è veduto, i pesci

fìssati pel convito (v. nota a òipdqia vola, Comm.
col. VI, 11, p. 151). È numero rituale e perfetto (Poli.
VI, 15 oti xaì xd xqia rcooixog xeXsìog dqidjióg),
che ricorre anche in altre iscrizioni (p. es., per tacere
di altre molte, Ditt.: Si/II. n. 203,1. 63, 371,1. 26-30;
'Epr/fisQ. dqyaiolóy. 1885, p. 97) ed è diffusissimo nel-
l'antichità, dalle arcaiche triadi delle divinità alla du-
rata delle celebrazioni (cfr. p. es., Philol. Suppl. II,

p. 622 e segg. -Ovtiv óè óid xqimv ivéav.....— Ju-

lide/. G. A., n. 395; Dareste ecc. laser, juridiq. gr. I,
pag. 12 B. 1 e segg., v. pag. 17, note ; — cfr. Gambreion,
C. I. G. 3562,1. 11 ; Dareste, op. cit., I, p. 19), perfino
alla determinazione delle annate del vino da adoperare
nei conviti (C .1. G. 2562 . . . oì'vov xqiixovg xfqdfiiov),
al numero delle vesti da indossare nei funerali (Omero,
Iliad. XXIV, 580, cfr. XVIII, 352 ; Plut, Sol. 21 ;
Julide, 1. e; Dareste, op cit., I, pag. Ile segg.) ; nu-
mero non estraneo neanche al rito sacro romano (v. p.
es., la durata di tre giorni per la festa alla dea Dia
compiuta dai fratelli Arvali : v. Henzen, Ada fr. Arv.,
p. 8-9, e cfr. varie iscrizioni latine, Leggi delle XII
tavole : tribus riciniis et tunicula purpurea ; Schiess,
Collegio, funeraticia, p. 114; principalmente C. I. L.
VI, 10234 : lex collegii Aesculapii et Hygiae).

33. (fxMpdvog. — (Cfr. VI, 1, 8). Le corone sono
citate non solo per ornare il capo ai celebranti, ma
verosimilmente per l'offerta che dì quelle facevano alla
divinità, per la funzione del o'xKfavoì/j.axa nqoayé-
qsiv per parte dei nqotìióvxeg 3toìc, citata da Polluce
(I, 25 e segg.), e, secondo l'interpretazione del Marini,
ripetuta dai sacerdoti Arvali nel Luco della dea Dia
(Marini, Aro. I, p. 315, nota a coronis inlatis). Tanto
le imagini della divinità prescelta, quanto le statue

0 almeno i busti degli eroi ne erano ornati. Cfr. l'iscri-
zione già citata di Calaureia {Philol. Suppl. II, p. 623

e segg.).....xdg ts eìxóvag xa&aqdg tcoihv.....

xaì xdv .... 'AyaGixqdxiog xaì Gxtif avovv wg oxi %a-
qibtiiaia. — Vedi per i confronti con l'uso romano, Ma-
rini, Arvali, p. 394; Henzen, Acta fr. Arv., p. 34, ove
son citati i luoghi rispettivi di Plinio e di Tibullo. —
Non si può determinare se l'elenco Gxt<pdvog, uovgi-
xóv, fivqov corrisponda alla serie delle funzioni sacre,
mancando altre prove nell'epigrafe, ma anche presso

1 Romani, p. e., negli atti dei fratelli Arvali più an-
tichi, precedeva la coronazione, e poi i sacerdoti spal-
mavano di profumi l'altare o l'imagine della divinità
 
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