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183

LA SITULA ITALICA PRIMITIVA

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Le borchie erano nel maggior numero de' casi di-
schetti più o meno convessi e adesi al vaso coi soli
margini ; ma non di rado, per esser rassicurate meglio,
venivan munite della spina o punta centrale, la quale
ha lasciato, se la borchia è caduta, una cavità cen-
tralo nell' argilla, e qualche volta vi è rimasta anche
inserita.

Al quale proposito è interessante la tazzina ad
alto manico n. 13G della tomba n. 10 di Villa Ben-
venuti, ove restano nell' ansa frammentata, in alto, due
punte di borchietta tuttora conficcate nell' argilla e
visibili in tutta la loro lunghezza, che è di circa un
centimetro.

Nelle singolo file orizzontali o ne' motivi vari for-
mati dalle borchie, queste sogliono essere disposte a
una esigua distanza fra di loro ne' vasi del secondo
periodo; tanto che appaiono talora, per il dilatarsi
dell' ossidazione, quasi appiccicate le une con le altre.
Ne' pochi vasi del pieno terzo periodo, ove le borchie
sono ancora usate, e, in particolar modo, ne' vasi del
tipo dato dalle fig. 49 e 53, veggonsi invece poste, come
già osservammo, a intervalli assai larghi ; il che dimo-
stra lo scadimento di un' arte, la quale, se per l'innanzi,
a conseguire nel miglior modo il suo fine dava opera as-
sidua e solerte, si dimostra oggimai trasandata e stanca.

Era segnatamente il lavoro, che 1' aveva condotta
ad un grado altissimo di perfezione. Perocché, chi
guardi agli ossuari a situla più elegantemente ornati
(fig. 44, 45) ed all' ossuario a zone e cordoni, che noi
riportammo al principio del terzo periodo (fig. 51), non
può non meravigliarsi della immensa, infinita copia di
borchie occorse per comporre tutti que' disegni cosi ser-
rati e fitti, le quali, per eswersi una per una con le dita
appiccicate al vaso, dovettero richiedere una cura lunga,
scrupolosa, pazientissima, che più tardi non si ebbe più.

L'affissione delle borchie facevasi naturalmente sul-
1' argilla ancora molle, prima della cottura de' vasi. Ha
già osservato il Barnabei ('), a proposito dei vasi fittili
borchiati dell' agro falisco, come il grado di calore, a
cui que' vasi si sottoposero, dovesse essere debolissimo
in guisa da non nuocere a quegli esilissimi bottoni
metallici, i quali « sotto l'azione diretta della fiamma
non si sarebbero mantenuti (2) ». E di qua egli dedusse

quello che aveva già dimostrato per altre vie: che
« nella cottura di questi vasi a fuoco libero, la fiamma
doveva ardere intorno al fittile ben asciutto, senza toc-
carlo, nel modo che si usa fare da genti barbariche
nella cottura dei fittili » ('). Per ciò che concerne i
vasi atestini del secondo periodo, ancora in gran parte
lavorati senza tornio e di argilla d'impasto nerastro,
sebbene bastantemente depurata, io non dubito di am-
mettere lo stesso procedimento.

Soltanto per il più scarso vasellame del terzo pe-
riodo, a cominciare dall' esemplare bellissimo del fondo
Capodaglio, io non so se si possa ammettere lo stesso
modo di cottura a fuoco libero. E a questo proposito
mi sembra utile appellarmi al giudizio di un egregio
uomo, che, all' ingegno acuto ed industre unendo la
esperienza pratica dell' artista, si è accinto ad un' opera,
la quale sarebbe parsa tanto ardua, quanto penosa a
chicchessia: la riproduzione di un vaso borchiato e
precisamente dell'ossuario n.249C del sepolcreto Capoda-
glio (fig. 51). Al sig. Federico Cordenons, autore di tale
imitazione, la cui riescita non poteva esser più fe-
lice, ho voluto chiedere particolari ragguagli in-
torno al modo tenuto da lui nella singolare fabbri-
cazione del vaso, nella preparazione e nell' affissione
delle borchie, ch'egli fece d'ottone, anziché di bronzo.

Sono lieto di dar posto qui a tali notizie, le quali
conferiranno a chiarire vieppiù sempre questa parte
delle nostre ricerche attinenti alla tecnica dell'imbul-
lettatura de' vasi fittili. E mi è grato al tempo stesso
di offrire riprodotto da fotografia (fig. 56) il vaso fab-
bricato da lui (col coperchio relativo), che fu acqui-
stato per il museo industriale di Vienna, ove presen-
temente si conserva.

Così mi scriveva adunque il Cordenons in una
sua lettera del 14 marzo 1894 : « Appena fatto il
vaso, bisogna applicarvi le borchie a pasta tenera ; e,
se le borchie da applicare sono molte, siccome il la-
voro in tal caso diventa lunghissimo, bisogna man-
tenore fresca la creta e quindi mantener coperto il
vaso con un pannolino umido. Le borchie si ottengono
facilmente. Gli orefici hanno certi punzoni cilindrici,
che hanno incavata una scodellina semicircolare con-
tornata da un bordo circolare tagliente. Posta la la-

fi) Mon. aut., cit., col. 229, 230.

(J) Barnabei, Mon. ant. cit., col. 229.

(') Barnabei, ibid. Sul processo di cottura riscontrato coi me-
todi tenuti da genti barbariche vedi anche la nota 1, col. 179-181.
 
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