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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 24.1916

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Cultrera, Giuseppe: Vasi dipinti del Museo di Villa Giulia
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https://doi.org/10.11588/diglit.11257#0203

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VASI DIPINTI DEL MUSEO DI VILLA GIULIA

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i cui padiglioni hanno l'orlo nero. Sopra la fronte,
nel mezzo della prima fila di ricciolini, è attaccato
un fiorellino pure a rilievo. Il tamburo su menzio-
nato, che forma la bocca del vaso, è verniciato in
nero; ma nella zona inferiore presso l'attaccatura
della testa è adorno di un fregio a ovoli.

La classe dei vasi italici a figure rosse, detti
comunemente « falisci », si allaccia alla produzione
attica e alle altre classi di vasi che con la produzione
attica direttamente si collegano. In prima linea va
naturalmente ricordata la ceramica dell'Italia meri-
dionale. È forse il caso di pensare che la produzione
« falisca » rappresenti un fenomeno parallelo a quello
che, in fatto di fabbricazione di vasi, si è avverato
appunto nell' Italia meridionale. Diciamo forse, perchè
non si può ancora affermare con sicurezza se la ce-
ramica « falisca » derivi direttamente dalla ceramica
greca, oppure se si debba intendere come la continua-
zione della stessa ceramica italiota. Per questa se-
conda ipotesi farebbe propendere il fatto che alcuni
prodotti « falisci » sembrano alquanto recenti, e non
c' è dato ancora di conoscere con sicurezza l'epoca del
cominciamento di questa ceramica. D'altro canto per
la prima ipotesi farebbero propendere queste conside-
razioni: i prodotti ceramici italioti rinvenuti nell'Ita-
lia centrale non sono, come i prodotti greci, così ab-
bondanti, da giustificare la supposizione di una larga
imitazione; rispetto alle forme dei vasi, le analogie si
trovano più tra la ceramica greca che tra quella
italiota.

Comunque, un parallelismo c' è e non si avverte
soltanto nei riguardi della dipendenza comune dalla
ceramografia della Grecia propria a figure rosse, ma
pure nei riguardi della affinità dei soggetti e quindi
del carattere concettuale delle rappresentazioni figu-
rate. Il Patroni, attribuendo un contenuto simbolico
di carattere funebre alla ceramografia italiota, avrà
esagerato nello sviluppo della sua tesi; ma l'affinità
delle rappresentazioni figurate con quelle peculiari
dei monumenti italici di carattere funebre — pitture
tombali, urne etnische, sarcofagi etruschi e romani (')

(!) Patroni, La Geram. ant. neWIt. merid. p. 178. Cfr.
- Ausonia, VII, p. 183 e seg.

— è innegabile. E siffatta affinità i vasi « falisci »
hanno in comune cou i vasi italioti. Lo stesso Savi-
guoni, che pure si dichiara lontano dal condividere
le conclusioni del Patroni, non manca tuttavia di
accogliere, se non il concetto del simbolismo, per
lo meno quello del carattere prettamente funebre della
medesima ceramografia italiota e di riconoscerlo ap-
punto nella ceramografia « falisca » (1). Come nella
ceramografia italiota, vi troviamo infatti scene di ono-
ranze ai sepolcii (2), scene di soggetto bacchico —
ne è esempio il nostro stamnos 4(3 (3) —, centauro-
machie (*)., scene relative all' Inferno (5).

Nello stamnos n. 45 sono notevoli le rappresen-
tazioni delle Arpie. L'arte greca orientalizzante ci
offre il tipo della così detta Artemide persiana,
figura femminile alata, in atto di afferrare due ani-
mali, sollevandoli con disposizione simmetrica del-
l'insieme. La plastica etnisca si è impadronita di

(') A proposito di una hidria e di un guttus del territorio
falisco, esistenti nel Museo di Villa Giulia e rappresentanti
scene di una favola esopica (la volpe e la cicogna), che
egli mette in rapporto con la stela sepolcrale di Villa Dia-
nella esibente rappresentazione analoga (Bormann-Benndorf,
Oesterr. Jahresh., V, 1902, p. 1 e segg.), la cui destinazione
sepolcrale vale a spiegare il carattere funebre delle due sud-
dette pitture vascolari (Oesterr. Jahresh-, VII. p. 72 e segg.;
particolarmente da p. 75 e segg.).

(2) Qualche esempio si ha nel Museo di Villa Giulia.

(3) Qualche altro esempio si ha pure nel Museo di Villa
Giulia.

(4) Ricordiamo uno stamnos del Museo di Firenze (Inv.
n. 4130) e un cratere a volute di Orvieto, ora nello stesso
Museo fiorentino.

Non tanto frequenti quanto nei vasi italioti sembra che
siano le rappresentazioni di scene mitologiche. E in questo
fatto forse bisogna riconoscere una ragione di più per esclu-
dere una dipendenza diretta della ceramica « falisca » da quella
italiota e per ammettere più forti punti di contatto con l'arte
etrusca. E infatti noto che nell'arte etrusca primitiva le scene
mitologiche sono rare. La scena di Achille e Troilo, nella
tomba tarquiniense dei « Tori » è una rarità (cfr. Ducati, Atene
e Roma, XVII, col. 136 e seg.) Le scene mitologiche per altro
non mancano: basti ricordare, tra i vasi di Villa Giulia, il
cratere con rappresentazione relativa alla Iliupersis (Tosi,
Studi e Materiali di Archeologia e Numismatica. Ili, 1905,
p. 175 e segg., figg. 4 e 5).

(*) Si vegga il vaso di Firenze pubblicato dal Conestabile
(Pitture murali a fresco e suppellettili etrusche in bronzo e
in terra cotta, scoperte in una necropoli presso Orvieto,
tav. XVII), i tre vasi della Collezione Faina, a Orvieto, pub-
blicati da G. Forte (Mon. delVlnst., XI, tavv. 4 e 5; cfr. An-
nali, 1879, p. 299 e segg.) e il disegno vascolare, noto da
riproduzione pubblicata dallo stesso Forte (Annali, scritto cit.,
p. 305 e segg., tav. d'agg. V).
 
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