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Accademia Nazionale dei Lincei <Rom> [Hrsg.]
Monumenti antichi — 24.1916

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Taramelli, Antonio: Gonnesa: indagini nella cittadella nuragica di Serrucci
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https://doi.org/10.11588/diglit.11257#0349

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GONNESA ECC.

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esercitata da scalo a scalo, assai prima che fossero aperte le
vie terrestri dalle foci del Rodano al nord della Gallia ed alla
Bnttannia.

importazione di questi germi dall'oriente e precisamente
dall'Egeo, verso occidente dev'essere avvenuta in tempo assai
remoto, quando ancora la costruzione a cupola era in mattoni
crudi, come ad Orchomenos, e serviva esclusivamente per abi-
tazione, e come tale appunto appare in Sardegna, nelle Ba-
leari, e nelle isole Britanniche, mentre invece nelle isole
dell'Egeo, mutandosi il materiale in pietra, il tipo assume
esclusivamente l'uso di tomba ed è mantenuto dalla tradi-
zione religiosa funeraria e non già dalle abitudini dei viventi.
A questa conservazione rituale nella civiltà micenea di un
tipo di capanna primitiva rotonda ma elevato a carattere fu-
nerario ed alle dignità di monumento, aveva io pure accen-
nato in un breve studio sull'argomento edito nel Bullettino
bibliografico sardo, del 1904 (anno IV), fascicoli 40-41, ma
ora nello studio del Patroni questa diffusione del tipo nello
spazio e la sna trasformazione nel corso del tempo, è prospet-
tata con molta evidenza, anche perchè con la scoperta del
Bulle ad Orchomenos, allora non per anco divulgata, erano
venuti in luce elementi positivi di abitazioni rotonde a cupola
nel suolo egeo, che sino a quel momento erano solo state
supposte od ammesse come mere ipotesi.

L'opinione da me esposta sullo sviluppo locale del nuraghe
da una capanna coperta da tetto in frascame era in parte
determinata dalla imponenza, dalla copia e dalla distribuzione
amplissima dei monumenti nuragici in tutta l'isola e dal pre-
supposto che tutto questo sviluppo potesse essere avvenuto
per una evoluzione locale, in seno ad una gente che dimostrò
tanta intelligenza e tante energie costruttive e fece tante ap-
plicazioni della costruzione della cupola in aggetto da lasciar
supporre che avesse saputo essa stessa trovare tale principio
costruttivo e coprire con materiale lapideo, a corsi aggettanti,
il rotondo vano che prima copriva con materiale deperibile.
Anche il Patroni, del resto, riconosce nella gente sarda nura-
gica, anzi protonuragica, energie ed ardimenti notevoli, quando
ammette che « occidentali pure essi navigatori, come i sardi,
andassero incontro ai navigatori del bacino orientale » — la-
tori della costruzione a cupola — fino a tre o quattro scali
e talora alcuni si fermassero in quei paesi e poi in parte tor-
nassero dopo aver appresa un'arte ed una tecnica che diffon-
devano nella loro isola. Ma riconosco io pure che se è logico
derivare tipologicamente la cupola nuragica dalla capanna ro-
tonda, invece l'ammettere una derivazione diretta della prima
dalla seconda implica una difficoltà grave ed un errore di
metodo, mancando il nesso logico, il punto di passaggio dalla
copertura ad intreccio di rami a quella formata dall'aggetto
graduale dei corsi di pietra.

La difficoltà di un passaggio dalla costruzione di frasche
a quella in pietra a corsi aggettanti è maggiore di quella di
un passaggio dalla costruzione in corsi di mattoni crudi a
quella di corsi in pietra; e per superare quest'ultima il Pa-
troni pare disposto ad ammettere l'efficacia che può avere
avuto sui costruttori di cupole la costruzione e la esperienza
delle costruzioni megalitiche, già in uso in Sardegna prima
dell'epoca nuragica. « Gli occidentali, ricevendo il tipo delle
cupole in aggetto, erano già costruttori in pietra, almeno limi-
tatamente alle tombe ed a qualche edificio religioso; essi
adunque eseguivano in pietra la costruzione a cupola, la quale
del resto già cominciava ad ammettere parzialmente l'uso del
materiale lapideo, come mostrano le capanne di Orcomeno ».
Ma questo modo di risolvere tale difficoltà è più ingegnoso
che fondato su elementi sicuri. Le costruzioni dolmeniche, le

Monumenti Antichi — Vol. XXIV.

tombe di giganti più antiche non hanno fornite prove di ri-
salire ad un'età più remota che quella dei primi nuraghi, nè
d'altra parte è possibile staccare tali costruzioni da tutta la
tradizione nuragica a cui invece per tanti elementi e tecnici
ed archeologici sono intimamente collegati.

Quindi, dato pure, come propone il Patroni, e come sono
disposto anch'io ad ammettere, che il passaggio dalla coper-
tura leggiera a quella lapidea, a cupola conica costituita dai
corsi aggettanti, sia stato determinato dai germi importati
dall'oriente Egeo, con altri elementi di cultura in età premi-
cenea e micenea che io ho avuto cura ripetutamente di rac-
cogliere ed ai quali si richiamava anche il dott. Porro nella
monografia sugli Influssi dell'Oriente preellenico sulla civiltà
primitiva della Sardegna, che io stesso ebbi a suggerire al
compianto discepolo, dato pure, dico, che il lampo di genio
che condusse l'umanità alla geniale scoperta sia balenato
alle menti caldee e di là trapelato per l'Asia Minore all'Egeo
e per lento cammino, di proda in proda, pervenuto alla Sardegna,
resta pur sempre evidente che per passare dalla piccola celletta
di 2 metri di diametro in mattoni crudi, di Orchomenos, alla
cupola nuragica lapidea di almeno quattro metri, siano occorsi
dei tentativi, dei gradi, delle fasi successive di difficoltà superate.

A cogliere le testimonianze di questi tentativi, di questa
graduale applicazione del principio tecnico della cupola, di-
ressi appunto con molta attenzione le mie ricerche, rivolgen-
domi appunto alle capanne situate attorno ai nuraghi, che il
Mackenzie chiama prenuragiche — appartenenti cioè ad una
fase prenuragica — durante la quale in Sardegna non eranvi
che capanne rudimentali in pietra, analoghe ai truddhi, e
dolmen. Anche il Mackenzie ha ragione se parla di capanne
prenuragiche in senso tipologico, cioè pertinenti ad un tipo
che precede e prepara il vero nuraghe, ma nulla di positivo
può essere detto sulla età di quelle da lui conosciute.

Ora, per quanto scarsi siano gli elementi datimi dalle ri-
cerche fatte in queste capanne protosarde e soprattutto dagli
scavi di queste di Serrucci, pure alcuni di questi meritano
di essere raccolti e valutati.

Le numerose capanne di Serrucci e specialmente queste
ora scavate, hanno tutte un diametro superiore ai tre metri,
alcune giungono quasi ai sette metri e nessuna di esse ha le
pareti di spessore tale da essere atta a sostenere la spinta
della vòlta ad aggetto e tutte dovevano essere coperte da fra-
scame sostenuto da pali, come è proposto nei due schemi di ri-
costruzione delle due capanne A e B ("vedi figure 9,16,17). Ma
come è reso evidente dalle sezioni dei muri perimetrali delle
quattro capanne A-D (fìg. 9, 14, 21), le pareti sono in tutte e
quattro inclinate verso l'interno, a cominciare dal livello del
suolo, mediante l'aggetto graduale dei corsi sovrapposti e l'ag-
getto è sempre più accentuato quanto più alti e più spessi
sono i muri. In ciò appunto è l'accenno alla graduale evolu-
zione che conduce il costruttore a compiere la grande e diffi-
cile opera della vòlta nuragica, preparando murature sempre
più spesse e di più accurata struttura e più alte, aumentando
sempre più l'aggetto dei corsi ed il graduale restringimento
del vano. Si ebbe forse un gradino di questa scala di progres-
siva applicazione in cui, specie nei piccoli edifici, la parte
superiore del vano lasciato dai corsi aggettanti era chiuso da
un solo grande masso e di ciò abbiamo un esempio nella cu-
poletta che copre una fonte sacra di Kebeccu, presso Bonorva.
Da ultimo poi si pervenne alla completa chiusura della cupola,
cioè si giunge a un anello di così piccolo diametro da potersi
chiudere con due o tre massi, che potranno anche essere mo-
bili, per dare eventualmente maggiore aria e luce e sfogo al
fumo della cella di abitazione.

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