P 0 E S I A L 1 B. IV.
del parlarc ee n ha mille efempj ne piu rinomatì Scrittori. ..Col
vederti dillrutta Scc. Non soy fe pojsa parere a taluno, che qui si di-
ca troppo, Imperciocchè non è virtu ne Forti il non fentìr le disav-
venture, ma il sentirle, £ tollerarle ; e quesìa insenstbiluà è disetto^
non gloriay negli uomini. Tuttavia ognun vede, 'uo/sr /7 Poeta
folamente dire, yW/7 Città mosìra di non fentire la sua di/ìruzio«
we.* £ ciò ingegnofamente ft chiama sar vendetta di chi /’ ha disìrutta.
E' sondato il concetto sulla majsma del Magnanimo di sare una bella
e generofa vendetta del torto col disprezzarlo , e con cib non fentirlo,
Laonde su detto, che i’Ingiuria non cade nell’Uomo sapiente, perchè
ejsa non fa in lui imprejson di dolore,
(a) Gencva mia.] Questo principio somiglia qucllo del Petrarca, Italia mia ; e dal-
le lettere singole , imtiaii, prefilse al Sonetto si scorge esfere di quel Padre Pallorini,
che non si può tanto nascondere, che ia luce del suo fiile non lo manifesti. E’ Sonetto
grave, e maraviglioso.
cC&n cvsiAs cvgt'» c cv$i/5 cvjs^s cv$s>
Di Luigi Tanfillo.
AMor m’impenna Fale5 e tanto in alto
Le spiega l’amoroso mio pensiero,
Che d’ora in ora sormontando io spero
Alle porte del Ciel dar nuovo alsalto.
TemOj qualor giù guardo, il vol tropp’alto;
Ond’ei mi grida, e mi promette altero,
Che se dal nobil corso io cado, e pero5
L’onor fia eterno, se mortale è il saito.
Che s’altri, cui desio simil compunse,
Diè nome eterno al mar col suo morire,
Ove l’ardire penne il Sol disgiunse *
II Mondo ancor di te potra ben dire:
Questi aspirò alle Stelle; e, s'ei non giunse,
La vita venne men, ma non i’ardire.
Del
C c c %
del parlarc ee n ha mille efempj ne piu rinomatì Scrittori. ..Col
vederti dillrutta Scc. Non soy fe pojsa parere a taluno, che qui si di-
ca troppo, Imperciocchè non è virtu ne Forti il non fentìr le disav-
venture, ma il sentirle, £ tollerarle ; e quesìa insenstbiluà è disetto^
non gloriay negli uomini. Tuttavia ognun vede, 'uo/sr /7 Poeta
folamente dire, yW/7 Città mosìra di non fentire la sua di/ìruzio«
we.* £ ciò ingegnofamente ft chiama sar vendetta di chi /’ ha disìrutta.
E' sondato il concetto sulla majsma del Magnanimo di sare una bella
e generofa vendetta del torto col disprezzarlo , e con cib non fentirlo,
Laonde su detto, che i’Ingiuria non cade nell’Uomo sapiente, perchè
ejsa non fa in lui imprejson di dolore,
(a) Gencva mia.] Questo principio somiglia qucllo del Petrarca, Italia mia ; e dal-
le lettere singole , imtiaii, prefilse al Sonetto si scorge esfere di quel Padre Pallorini,
che non si può tanto nascondere, che ia luce del suo fiile non lo manifesti. E’ Sonetto
grave, e maraviglioso.
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Di Luigi Tanfillo.
AMor m’impenna Fale5 e tanto in alto
Le spiega l’amoroso mio pensiero,
Che d’ora in ora sormontando io spero
Alle porte del Ciel dar nuovo alsalto.
TemOj qualor giù guardo, il vol tropp’alto;
Ond’ei mi grida, e mi promette altero,
Che se dal nobil corso io cado, e pero5
L’onor fia eterno, se mortale è il saito.
Che s’altri, cui desio simil compunse,
Diè nome eterno al mar col suo morire,
Ove l’ardire penne il Sol disgiunse *
II Mondo ancor di te potra ben dire:
Questi aspirò alle Stelle; e, s'ei non giunse,
La vita venne men, ma non i’ardire.
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