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Napoli nobilissima — 1.1892

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RIVISTA DI TOPOGRAFIA ED ARTE NAPOLETANA

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muoiono, che il desiderio d’una madre è sempre bene-
detto da Dio, che il vanto di Carlo d’Angiò fu vano e
stolido, quando egli credette di aver buttato nella fossa
comune del campo Morieino e lì coperti della terra e del-
l’oblio il corpo, non pure, quanto il nobile ardimento ed
il nome della casa di Svevia (J).
Salvatore di Giacomo.

PER LE CHIESE DA DEMOLIRSI
NEL RISANAMENTO DELLA CITTÀ

Sono sessantadue, delle quali undici già abbattute, le
chiese comprese nel piano di risanamento : nessuna di esse
ha una vera importanza in quanto all’architettura, e ben
poche conservano ricordi storici ed oggetti d’arte notevoli.
Gli autori del disegno di questa opera, per la quale
tanta parte della vecchia Napoli sarà così compiutamente
trasformata, rispettarono i principali edifici sacri, che sono
nella regione da risanarsi. E due cappelle, che essi vi ave-
vano compreso, — 5. Andrea apostolo in S. Pietro ad aram,
e S. Aspreno — furono salvate dalla Commissione Muni-
cipale dei Monumenti, come quelle, che contengono le
più antiche memorie sacre della città.
Nella prima (vuole la tradizione) S. Pietro celebrò i
divini uffici, e diede le insegne a S. Aspreno, primo Ve-
scovo di Napoli. L’altra, dedicata a quest’ultimo santo, fu
costruita nell’ottavo secolo su di un ipogeo degli inizii del
cristianesimo, nel quale si raccoglievano intorno a S. A-
spreno i primi cristiani Napoletani.
Le importanti memorie civili e gli avanzi di costruzioni
medioevali avrebbero potuto forse meritare a S. Maria a
Piazza una simile considerazione. Tenuta in grande vene-
razione al tempo del Ducato, questa chiesa conserva a
fianco la torre di opera laterizia, contemporanea, sebbene
meno bella, di quela di Santa Maria di Pietrasanta, e nel-
l’interno un crocefisso di antichissima scultura in legno e
il sepolcro di Buono, Duca di Napoli.
Il breve periodo (832-834) in cui questi tenne il su-
premo potere, ebbe un principio sanguinoso. La lotta se-
colare tra i Longobardi di Benevento e i Napoletani si
era riaccesa sotto il ducato del suo predecessore, Stefano III
(821-832); e Sicone, Duca di Benevento, aveva più volte
tentato di espugnare Napoli. Stanco al fine della valorosa
resistenza, Sicone fece ricorso al tradimento. Inviò nella

(i) Fondamento di quest’articolo è la monografia sul Carmine Maggiore,
del Principe Gaetano Filangieri, contenuta nella grande opera: Documenti
per la storia, l’arte e le industrie, voi. III. Rimando ad essa per la documen-
tazione delle mie notizie.

città i suoi legati legati, che, sotto colore di trattare la pace, se-
ducessero coi doni alcuni dei cittadini, e ordissero una
congiura contro il Duca. Così avvenne; e mentre nel
giorno stabilito Stefano III si recava all’udienza dei legati,
per stringere l’accordo, fu miseramente trucidato sulle scale
della cattedrale. Tra i congiurati era Buono, il quale fu
eletto Duca. Ma non giovò ai Longobardi la sua elezione;
giacche Buono, ripigliata subito con più vigore e con mag-
giore fortuna la guerra, respinse i nemici da Napoli e li
sconfisse ad Atella, ad Acerra, a Furcla e nel Sarnese.
Di queste vittorie dei Napoletani rimane unico docu-
mento l’iscrizione sepolcrale, conservata in S. Maria a
Piazza. E se non si vuole vederla usata come materiale
da costruzione, destino pur troppo comune alle lapidi na-
poletane, bisognerà che colà dove si puote se ne tenga cura.
*
* *
Ed egualmente si deve badare a che non vadano disperse
altre lapidi, contenute nelle chiese che saranno demolite.
Alcune serbano memorie più recenti, ma non inutili e non
prive di interesse. Accenniamo alle principali. Alla dimora
dei Pisani a Napoli, durante la dominazione Sveva, si rife-
risce l’iscrizione del 1238, che si legge accanto alla porta
di S. Giacomo degli Italiani. Essa ricorda la fondazione di
questa chiesa per opera del Console Oddo Gualdulio, di
Ruggiero Pesce e di altri Pisani, e, con orgoglio cittadino,
inneggia alla patria lontana, alla quale ubbidiscono le terre
ed i mari :
cui parent terre, cui parent equoris unde.
San Giacomo, come accenna la stessa iscrizione, sorse
sui ruderi di una chiesetta più antica, intitolata a S. Pie-
tro e distinta col nome della circostante regione fei Fa-
sari, che dicevasi pure (MW.' Acquario. Una tale denomina-
zione, nata allorché le acque delle colline raccolte nelle fo-
gne della città sboccavano pel canale pubblico su questa
parte del lido e prima di giungere al mare alimentavano
gli stagni, dove si macerava il lino, rimase alla regione
anche quando, aboliti man mano i fusari, si andò popo-
lando di case e di abitatori, e fu racchiusa nelle mura.
Ad un lato più orientale di essa fu ricostruita la chiesa
di 5. Pietro a Fusariello per opera delle famiglie nobili del
seggio dell’acquario. I loro discendenti ne serbarono fino
ai nostri giorni il patronato; e continuarono a chiamarsi
Acquarii, a testimonianza dell’antichità della loro origine,
anche dopo che il seggio cambiò il suo nome in quello
di Porto e si ingrandì per l’aggregarsi di nuove famiglie.
Alcune delle famiglie Acquarie erano già estinte al prin-
cipio del secolo XVI, quando le sei superstiti, Macedonio,
Dura, Di Gennaro, Venata e Strambone, ristaurarono S. Pie-
tro a Fusariello e misero accanto alla porta l’iscrizione
 
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