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NAPOLI NOBILISSIMA
Napoli, trovò il duca un asilo di riposo e di pace nei
brevi anni in cui rimase lontano dalla Corte; ma ripreso
il suo posto d’ambasciatore dovette allontanarsi, lasciando
negletta la sua bella villa. Dopo la sua morte essa rimase
per alcun tempo ancora in possesso degli eredi. Senonchè
quando Ferdinando II volle por freno alla sregolatezza
della madre e l’obbligò a sposare in legittime nozze il
conte Del Balzo, suo gentiluomo di camera, la vasta te-
nuta fu acquistata dal conte il quale, galantemente, volle
fosse chiamata « Villa Isabella ».
La regina madre, Isabella di Borbone, spagnuola d’ori-
gine e per indole corriva a prodigalità, non risparmiò di
certo danaro e cure per abbellire la possessione prescelta
a dimora regale. Sicché sapienti migliorie furono intro-
dotte nelle colture locali, grandi piantagioni di rose, il
fiore prediletto della regina; ed i più vecchi fra i conta-
dini affermano che fu il conte Del Balzo ad introdurre
per primo nella sua villa Vacacia robinia, da poco impor-
tata in Italia, e che si diffuse poi rapidamente per la fa-
cile acclimatazione a tutte le contrade.
La regina Isabella, a compimento di un voto fatto,
eresse la chiesetta che s’osserva accanto la villa, lascian-
done memoria nelle iscrizioni più su riportate; e, ritirata
quasi dalla Corte, che non volle riconoscere mai ufficial-
mente il suo matrimonio costringendo il conte Del Balzo
alle semplici funzioni di cavaliere di compagnia, ella ama-
va questo luogo ove, bandita ogni etichetta, poteva libe-
ramente darsi alla vita privata.
Morta la regina, il conte Francesco Del Balzo prese in
moglie Giulia Carignani, e per una malattia da questa fe-
licemente superata fece completare ed ornare la cappella
eretta da Isabella.
A’ suoi figliuoli, dopo la morte di lui, passò in eredità
la ricca tenuta, ma non rimase loro a lungo, chè neces-
sità di divisione e le mutate condizioni, dopo la caduta
de’ Borboni, li consigliarono a disfarsi di questo luogo di
delizie onerose per le necessarie manutenzioni e poco
redditizio.
Un gruppo di capitalisti l’acquistò per una somma di
gran lunga inferiore al suo valore reale, carezzando il
progetto di utilizzarne il suolo per la costruzione di nu-
merosi villini all’uso toscano. La crisi edilizia scoppiata
così inopinatamente rese inattuabile la cosa; sicché, abban-
donatane l’idea, il Medici, già interessato nell’affare, assunse
a sé tutte le altrui quote e ne divenne solo proprietario.
La bella villa è ora nel suo insieme molto trascurata;
ha perduto in gran parte l’aspetto signorile primitivo.
Molte zone ch’eran forse giardino o bosco, son mutate in
vigneti ed in campi. Le povere siepi di rose qua e là in-
terrotte intristiscono, si disseccano e muoiono. I viali, ove
un tempo passavan le belle carrozze, son ora addetti a
ben più umili e rustici servizi. Ed è per tutto la malin-
conia delle cose abbandonate: la miseria che ricorda so-
spirando la grandezza passata.
Laura Cosentini.
DA LIBRI E PERIODICI
Molto utile per una conoscenza sommaria della Storia dell’arte e
pel suo insegnamento nelle scuole secondarie è il libro testé pubbli-
cato dal prof. Francesco Carabellesb col titolo: Brevi ed elementari
nozioni di Storia dell’arte (Trani, V. Vecchi editore, 1897; pp. 134).
È diviso in sette capitoli, nei quali con savia disposizione delle ma-
terie e con forma semplice ed evidente si tratta per sommi capi della
Storia dell’arte italiana dal primo medioevo a tutto il secolo XVI.
Una parte ben piccola è fatta allo svolgimento dell’arte nell’Italia me-
ridionale e non poteva essere diversamente, anche perchè gli studi su
di essa, rinnovatisi dopo la demolizione dell’opera del De Dominici,
non sono ancora giunti al punto da potersene dare le conclusioni in
brevi parole. Delle aggiunte l’A. potrà farle in seguito nelle succes-
sive edizioni del suo libro, che noi gli auguriamo, anche perchè sa-
ranno indizio che sia stata accettata l’idea da lui propugnata così stre-
nuamente intorno all’obbligo dell’insegnamento della Storia dell’arte
nelle scuole secondarie.
*
* *
Delle due cappelle erette nella cattedrale di Sessa sotto l’invoca-
zione del Corpus Domini ha parlato Mons. Giovanni Diamarb nel suo
studio su La chiesa di Sessa e la Ss. Eucaristia (Napoli, tip. Artigianelli,
1896, pp. 94).
La prima, costruita poco dopo il 1426, era decorata da pitture a
fresco, che furono poi ricoverte di calce, e aveva un bel tabernacolo
di marmo bianco e un dipinto su tavola che per fortuna si sono con-
servati. Il tabernacolo, scolpito a forma di tempietto, è datato dal 1455,
e porta incisa nel piccolo architrave la parola Chelmondo, che il Dia-
mare dubita sia il nome dell’artefice. La tavola, che rappresenta Ur-
bano IV mentre istituisce la festa del Corpus Domini, circondato da
santi martiri e dottori, è 'segnata da un’iscrizione guasta in diversi
punti, nella quale il Diamare legge i nomi dei patroni della cappella
— Luisa Galiuccio, vedova di Cesare di Transo, e suo figlio Pietro —,
la data del 1591, e l’iniziale S. del pittore.
L’altra cappella, compiuta nel 1694, ha sull’altare maggiore una
tela dove Luca Giordano dipinse la Cena Eucaristica.
*
* #
Nella monografia del signor Teodorico Marino, dal titolo: Fran-
cavilla nella storia e nell’arte (Chieti, Giustino Ricci, 1896) alcuni ca-
pitoli sono dedicati ai monumenti e agli oggetti d’arte di quella città.
Il Marino descrive il famoso1 ostensorio del sec. XV, opera di Nicola
di Guardiagrele, e la bella campana di S. Maria Maggiore; parla di
avanzi architettonici del milletrecento; e in ultimo dà notizia di alcuni
artisti viventi.
*
* #
L'Abruzzo Cattolico ha pubblicato nel fascicolo decimo, anno IV, un
articolo del prof. Torquato Scaraviglia su la chiesa di S. Maria di
Arabona presso Chieti, che è in parte costruzione del secolo XIII. In-
sieme con un accurato studio dello stile del monumento, lo Scaravi-
glia presenta un progetto di restauro e di completamento.
Don Ferrante.
NAPOLI NOBILISSIMA
Napoli, trovò il duca un asilo di riposo e di pace nei
brevi anni in cui rimase lontano dalla Corte; ma ripreso
il suo posto d’ambasciatore dovette allontanarsi, lasciando
negletta la sua bella villa. Dopo la sua morte essa rimase
per alcun tempo ancora in possesso degli eredi. Senonchè
quando Ferdinando II volle por freno alla sregolatezza
della madre e l’obbligò a sposare in legittime nozze il
conte Del Balzo, suo gentiluomo di camera, la vasta te-
nuta fu acquistata dal conte il quale, galantemente, volle
fosse chiamata « Villa Isabella ».
La regina madre, Isabella di Borbone, spagnuola d’ori-
gine e per indole corriva a prodigalità, non risparmiò di
certo danaro e cure per abbellire la possessione prescelta
a dimora regale. Sicché sapienti migliorie furono intro-
dotte nelle colture locali, grandi piantagioni di rose, il
fiore prediletto della regina; ed i più vecchi fra i conta-
dini affermano che fu il conte Del Balzo ad introdurre
per primo nella sua villa Vacacia robinia, da poco impor-
tata in Italia, e che si diffuse poi rapidamente per la fa-
cile acclimatazione a tutte le contrade.
La regina Isabella, a compimento di un voto fatto,
eresse la chiesetta che s’osserva accanto la villa, lascian-
done memoria nelle iscrizioni più su riportate; e, ritirata
quasi dalla Corte, che non volle riconoscere mai ufficial-
mente il suo matrimonio costringendo il conte Del Balzo
alle semplici funzioni di cavaliere di compagnia, ella ama-
va questo luogo ove, bandita ogni etichetta, poteva libe-
ramente darsi alla vita privata.
Morta la regina, il conte Francesco Del Balzo prese in
moglie Giulia Carignani, e per una malattia da questa fe-
licemente superata fece completare ed ornare la cappella
eretta da Isabella.
A’ suoi figliuoli, dopo la morte di lui, passò in eredità
la ricca tenuta, ma non rimase loro a lungo, chè neces-
sità di divisione e le mutate condizioni, dopo la caduta
de’ Borboni, li consigliarono a disfarsi di questo luogo di
delizie onerose per le necessarie manutenzioni e poco
redditizio.
Un gruppo di capitalisti l’acquistò per una somma di
gran lunga inferiore al suo valore reale, carezzando il
progetto di utilizzarne il suolo per la costruzione di nu-
merosi villini all’uso toscano. La crisi edilizia scoppiata
così inopinatamente rese inattuabile la cosa; sicché, abban-
donatane l’idea, il Medici, già interessato nell’affare, assunse
a sé tutte le altrui quote e ne divenne solo proprietario.
La bella villa è ora nel suo insieme molto trascurata;
ha perduto in gran parte l’aspetto signorile primitivo.
Molte zone ch’eran forse giardino o bosco, son mutate in
vigneti ed in campi. Le povere siepi di rose qua e là in-
terrotte intristiscono, si disseccano e muoiono. I viali, ove
un tempo passavan le belle carrozze, son ora addetti a
ben più umili e rustici servizi. Ed è per tutto la malin-
conia delle cose abbandonate: la miseria che ricorda so-
spirando la grandezza passata.
Laura Cosentini.
DA LIBRI E PERIODICI
Molto utile per una conoscenza sommaria della Storia dell’arte e
pel suo insegnamento nelle scuole secondarie è il libro testé pubbli-
cato dal prof. Francesco Carabellesb col titolo: Brevi ed elementari
nozioni di Storia dell’arte (Trani, V. Vecchi editore, 1897; pp. 134).
È diviso in sette capitoli, nei quali con savia disposizione delle ma-
terie e con forma semplice ed evidente si tratta per sommi capi della
Storia dell’arte italiana dal primo medioevo a tutto il secolo XVI.
Una parte ben piccola è fatta allo svolgimento dell’arte nell’Italia me-
ridionale e non poteva essere diversamente, anche perchè gli studi su
di essa, rinnovatisi dopo la demolizione dell’opera del De Dominici,
non sono ancora giunti al punto da potersene dare le conclusioni in
brevi parole. Delle aggiunte l’A. potrà farle in seguito nelle succes-
sive edizioni del suo libro, che noi gli auguriamo, anche perchè sa-
ranno indizio che sia stata accettata l’idea da lui propugnata così stre-
nuamente intorno all’obbligo dell’insegnamento della Storia dell’arte
nelle scuole secondarie.
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Delle due cappelle erette nella cattedrale di Sessa sotto l’invoca-
zione del Corpus Domini ha parlato Mons. Giovanni Diamarb nel suo
studio su La chiesa di Sessa e la Ss. Eucaristia (Napoli, tip. Artigianelli,
1896, pp. 94).
La prima, costruita poco dopo il 1426, era decorata da pitture a
fresco, che furono poi ricoverte di calce, e aveva un bel tabernacolo
di marmo bianco e un dipinto su tavola che per fortuna si sono con-
servati. Il tabernacolo, scolpito a forma di tempietto, è datato dal 1455,
e porta incisa nel piccolo architrave la parola Chelmondo, che il Dia-
mare dubita sia il nome dell’artefice. La tavola, che rappresenta Ur-
bano IV mentre istituisce la festa del Corpus Domini, circondato da
santi martiri e dottori, è 'segnata da un’iscrizione guasta in diversi
punti, nella quale il Diamare legge i nomi dei patroni della cappella
— Luisa Galiuccio, vedova di Cesare di Transo, e suo figlio Pietro —,
la data del 1591, e l’iniziale S. del pittore.
L’altra cappella, compiuta nel 1694, ha sull’altare maggiore una
tela dove Luca Giordano dipinse la Cena Eucaristica.
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Nella monografia del signor Teodorico Marino, dal titolo: Fran-
cavilla nella storia e nell’arte (Chieti, Giustino Ricci, 1896) alcuni ca-
pitoli sono dedicati ai monumenti e agli oggetti d’arte di quella città.
Il Marino descrive il famoso1 ostensorio del sec. XV, opera di Nicola
di Guardiagrele, e la bella campana di S. Maria Maggiore; parla di
avanzi architettonici del milletrecento; e in ultimo dà notizia di alcuni
artisti viventi.
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* #
L'Abruzzo Cattolico ha pubblicato nel fascicolo decimo, anno IV, un
articolo del prof. Torquato Scaraviglia su la chiesa di S. Maria di
Arabona presso Chieti, che è in parte costruzione del secolo XIII. In-
sieme con un accurato studio dello stile del monumento, lo Scaravi-
glia presenta un progetto di restauro e di completamento.
Don Ferrante.