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poi tutti suoi, con una ripresa di chiaroscuri non melliflui ma squadrati; di cui da Piazzetta in poi s era
persa la memoria e l'uso, e che lo portano, in certi resultati, vicino a Goya. Morì nel 1813. Il neoclassi-
cismo già trionfava. Egli lo ignorò. La pittura veneziana finiva con lui, fedele a se stessa, immune da dedi-
zioni; con un orgoglio della propria razza che era mancato, nel morire, alla sua repubblica.
8. - Roma, e la nostra peregrinazione è al suo termine. Incontriamo qui Giovan Paolo Pannini, piacen-
tino, prosecuzione settecentesca della grande scuola scenografica emiliana. Nelle sue opere egli muove sempre
dalla scenografia per arrivare al paesaggio: in questo senso egli è un prolungamento di seicento. Quando ri-
traeva ambienti architettonici di piazze o interni di monumenti papali, la cosa era ovvia, poiché egli, a mo-
numento compiuto, probabilmente rifaceva la identica via di visione fantastica che aveva percorso il costruttore
a monumento non nato, nell'atto di farlo nascere. Ma era lo stesso anche se si trovava a tu per tu con
sfondi di campagna e rovine. Il Piranesi più tardi, a forza di sagome rotte, di cespugli scapigliati e disgre-
ganti, di corrosione dei materiali, di disfacimento delle compagini, tirerà a mettere in evidenza quasi esclusiva
quel che c'è rimasto, come è rimasto, l'opera del tempo su le cose, con intenzioni pittoresche e sentimentali;
quel che conta per lui, quando non fa l'archeologo, è proprio il resultato attuale dei dissolvimenti: il mo-
numento in quanto rovina. Ma il Pannini tende più tosto a cogliere nel dissolvimento quel che resta di in-
tegrità originale, e a suscitare dal manchevole la suggestione del compiuto, a vincere con l'immagine il tempo;
quello che importa a lui è la rovina in quanto monumento. E piamente ne ricompone e dispone in bella
vista gli avanzi: siamo di nuovo alla scenografia.
Ma pittore di cerimonie o di vedute animate, egli mette fuori tutto il settecento che aveva nel sangue:
e le sue macchiette d'umanità, ritrovate forse dietro gli insegnamenti di Salvator Rosa, forse dietro esempi
veneti, Carlevaris o Marco Ricci, gareggiano di franchezza e di pennelleggiatura franta con i migliori vene-
ziani: qualche volta ha fatto venire in mente perfino il Guardi.
Si potrebbe passar oltre e sopra, ai nostri fini, a quei non molti dei minori Cades o Corvi o Ca-
vallucci (non diciamo del più vecchio Benefial ancora a cavallo tra i due secoli) se non ci fosse da indi-
care in loro un presentimento generico delle nuove tendenze neoclassiche. Ciò che non maraviglia nella città
dove l'Antico non era mai tramontato, Raffaello era sempre rimasto un nume, e fin dal Seicento aveva pon-
tificato il Poussin come ora il Mengs. Della tendenza fu partecipe anche l'ultimo pittore di vaglia, il Batoni ;
specie in quei suoi quadri di fantasia in libertà, allegorie e mitologie. Ma nelle sue cose migliori, quadri chie-
sastici o più ancora certi ritratti, egli è sempre pittore di colore e di pennellata, senza preoccupazioni di
forma rotonda e a rilievo, puro settecento.
IL CAPOLA-
VORO DELLA
SCENOGRAFIA:
G. P. PANNINI.
Ottobre 1922.
poi tutti suoi, con una ripresa di chiaroscuri non melliflui ma squadrati; di cui da Piazzetta in poi s era
persa la memoria e l'uso, e che lo portano, in certi resultati, vicino a Goya. Morì nel 1813. Il neoclassi-
cismo già trionfava. Egli lo ignorò. La pittura veneziana finiva con lui, fedele a se stessa, immune da dedi-
zioni; con un orgoglio della propria razza che era mancato, nel morire, alla sua repubblica.
8. - Roma, e la nostra peregrinazione è al suo termine. Incontriamo qui Giovan Paolo Pannini, piacen-
tino, prosecuzione settecentesca della grande scuola scenografica emiliana. Nelle sue opere egli muove sempre
dalla scenografia per arrivare al paesaggio: in questo senso egli è un prolungamento di seicento. Quando ri-
traeva ambienti architettonici di piazze o interni di monumenti papali, la cosa era ovvia, poiché egli, a mo-
numento compiuto, probabilmente rifaceva la identica via di visione fantastica che aveva percorso il costruttore
a monumento non nato, nell'atto di farlo nascere. Ma era lo stesso anche se si trovava a tu per tu con
sfondi di campagna e rovine. Il Piranesi più tardi, a forza di sagome rotte, di cespugli scapigliati e disgre-
ganti, di corrosione dei materiali, di disfacimento delle compagini, tirerà a mettere in evidenza quasi esclusiva
quel che c'è rimasto, come è rimasto, l'opera del tempo su le cose, con intenzioni pittoresche e sentimentali;
quel che conta per lui, quando non fa l'archeologo, è proprio il resultato attuale dei dissolvimenti: il mo-
numento in quanto rovina. Ma il Pannini tende più tosto a cogliere nel dissolvimento quel che resta di in-
tegrità originale, e a suscitare dal manchevole la suggestione del compiuto, a vincere con l'immagine il tempo;
quello che importa a lui è la rovina in quanto monumento. E piamente ne ricompone e dispone in bella
vista gli avanzi: siamo di nuovo alla scenografia.
Ma pittore di cerimonie o di vedute animate, egli mette fuori tutto il settecento che aveva nel sangue:
e le sue macchiette d'umanità, ritrovate forse dietro gli insegnamenti di Salvator Rosa, forse dietro esempi
veneti, Carlevaris o Marco Ricci, gareggiano di franchezza e di pennelleggiatura franta con i migliori vene-
ziani: qualche volta ha fatto venire in mente perfino il Guardi.
Si potrebbe passar oltre e sopra, ai nostri fini, a quei non molti dei minori Cades o Corvi o Ca-
vallucci (non diciamo del più vecchio Benefial ancora a cavallo tra i due secoli) se non ci fosse da indi-
care in loro un presentimento generico delle nuove tendenze neoclassiche. Ciò che non maraviglia nella città
dove l'Antico non era mai tramontato, Raffaello era sempre rimasto un nume, e fin dal Seicento aveva pon-
tificato il Poussin come ora il Mengs. Della tendenza fu partecipe anche l'ultimo pittore di vaglia, il Batoni ;
specie in quei suoi quadri di fantasia in libertà, allegorie e mitologie. Ma nelle sue cose migliori, quadri chie-
sastici o più ancora certi ritratti, egli è sempre pittore di colore e di pennellata, senza preoccupazioni di
forma rotonda e a rilievo, puro settecento.
IL CAPOLA-
VORO DELLA
SCENOGRAFIA:
G. P. PANNINI.
Ottobre 1922.