CAPO I.
Un cenno su Roberto d'Angiò
ARLARE di 5A f?/ &222CA2, che chiamasi Aùme-
e ]ion dire una parola di colui, che ne
approvò e ne sostenne la fondazione, sarebbe certo un de-
litto di lesa gratitudine; e questa sarebbe più che mai ripro-
vevole in un francescano, che non ignora, come quel pio
monarca , il quale fu dell' Ordine Minoritico il più valido
protettore, volesse finire i suoi giorni coperto coll'umile saio
del Poverello d'Assisi. Ma per dire qualche cosa di tanto
monarca, fa d'uopo anzitutto uno schizzo di storia, per ri-
cordare quelle luttuose vicende, che chiamarono alle nostre
contrade la gente angioina.
Chi passa dinanzi al palazzo reale di Napoli, e volge lo sguardo
a quelle statue dall' aspetto pauroso, che vollero collocarsi per orna-
mento di quella bella facciata, sarà colpito da una figura piuttosto gio-
vane, sul cui capo spande le sue ali l'aquila sveva ; e che mentre stringe
nervosamente la destra, poggia la sinistra sull' elsa della spada, e dal
volto contratto rivela il profondo dispetto, che nasconde nel seno. È
Federico lo svevo. Alla nostra sorpresa, che nel palazzo più bello di
Napoli siasi fatta 1' apoteosi di un principe tedesco e di altri personaggi
stranieri, rispondeva un amico, che quelle statue raffiguravano i capi
delle diverse dinastie, che avevano regnato in Italia, e che sotto diverse
forme avevano tentata f unità nazionale compita dal Re galantuomo,
che occupa la ultima nicchia ; ed erano perciò esposte all' ammirazione