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Archivio storico dell'arte — 1.1888

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Fasc. V
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Recensioni e cenni bibliografici
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https://doi.org/10.11588/diglit.17347#0281

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RECENSIONI E CENNI BIBLIOGRAFICI

187

nel 1496 ne impegnò 176 ad Agostino Chigi (Vedi a
p. 104 e sog. la lista di questi cammei) e alla pag. 102
fra lo opere d'arte sequestrato pel Palazzo de' Signori
si accenna a parecchi busti antichi provenienti dal Pa-
lazzo in via Larga, che pare non si trovano punto nel-
l'inventario.

L'autore, nelle note di cui accompagna il testo, è
riuscito a identificare molti fra gli oggetti registrati
con altri esistenti oggi nei musei e collezioni private.
Alle di lui preziosissime osservazioni ci sia permesso
di far le poche aggiunte seguenti. Il maestro Castel-
lano rammentato alla pag. 61 corno artefice di un or-
gano, è lo stesso maestro che vien indicato dalla leg-
genda su d'una intarsia nello « Studio » del palazzo di
Urbino, dove la rappresentazione di un organo ò ac-
compagnata dalla iscrizione: « Juhani Castellano ».
Quelle intarsie furono lavorate negli anni 1477-1482,
probabilmente da un Maestro Giacomo da Firenze
(Vedi Passavant, Raphael a" Urbin, I, p. 382), e nella
stessa epoca il nostro « Maestro Chastellano » pare che
abbia goduto di fama straordinaria nel mestiere suo,
tanto da essere riguardato come rappresentante di esso.
Nella indicazione di « uno quadro di legname dipintovi
una prospettiva, con el palagio de' Signori cholla piazza
e loggia e chasamenti atorno chonella sta » (pag. 62)
l'autore vorrebbe riconoscere una tavola del Masaccio,
accennata dal Vasari (ediz. Milanesi, II, 290). Ma su
questa era figurato il « Cristo che libera lo indemoniato »
il (pialo pertanto non viene rammentato nel relativo
articolo dell'inventario. Pare dunque più ragionevole
di identificare il quadro mediceo con una delle duo
prospettive del Brunelleschi descritte dal Vasari, come
infatti l'erudito recentissimo editore di questo ha pro-
posto (ediz. Milanesi, II, p. 332, n. 2). Il Milanesi però
sbaglia, riferendo anche l'articolo seguente dell'inven-
tario all'altra delle prospettive del Brunelleschi ; poiché,
mentre su questa il Battisterio era figurato visto dalla
porta principale del Duomo, quindi senza quest'ultimo,
l'articolo in questione parla espressamente di « uno
quadro dipintovi el duomo e san Giovanni ». I tre
quadri del Poliamolo con rappresentazioni delle fatiche
d'Ercole, registrati a pp. 62 e 63 non sono punto iden-
tici con due tavolette del maestro conservato oggi ne-
gli Uffizi, come l'autore osserva nella nota 1 a pag. 63.
Codesti sono abbozzi ovvero repliche di quelle, il che
risulta dal confronto delle loro misure con quelle molto
più grandi, indicate nell'inventario. Gli originali del
Palazzo Medici si citano una seconda volta (alla pag. 103)
fra le opere d'arte traslocate nel 1495 al Palazzo Vec-
chio ; qui però vengono qualificate come « tres statue
Herculee », erroneamente, come appare chiaro dal se-
guente « affixe in pariete sale principalis dicti palati!
in quibusdam tabulis ».

Nella « testa di marmo sopra l'uscio dell'anticha-
mera della impronta di Piero di Cosimo » (pag. 63)
abbiamo senza dubbio da ravvisare il busto di Mino da
Fiesole, oggi conservato nel Museo nazionale di Firenze,

il quale, anche per testimonianza del Vasari, insieme
con quello della moglie di Piero « stettono molti anni
sopra due porte di Piero in casa Medici (ediz. Mila-
nesi, III, 123). Senonchè l'autore testé citato confondi!
il nipote Piero di Lorenzo (che alla morte di Mino non
aveva più di tredici anni) coll'avo Piero di Cosimo.
Sbaglia pure nell'indicazione della località, poiché nella
camera di Piero l'inventario non registra alcun busto.
Anche quello della moglie di Piero lo cerchiamo in-
darno nell'elenco.

Nel « (pia Ir© di marmo, chornicie di legname atorno,
entrovi, di mezo rilievo, una Accensione (sic) di mano
di Donato » (pag. 63) mi pare potersi ravvisare il bas-
sorilievo di Donatello rappresentante la consegna delle
chiavi a san Pietro, che oggi è nel South-Kensington-
Museum di Londra. Il soggetto per se stesso, che esce
affatto dal genere delle opero scultorie fiorentine del
Quattrocento (finora non ne conosciamo un'altra rap-
presentazione d'origine fiorentina) , la maniera poi ,
affatto speciale, nella quale Donatello ha raffigurato la
scena, la figura di Gesù seduta su nuvole e circondata
da angeli, gli apostoli guardanti in alto, il finissimo
« Stiacciato » della esecuzione che non permette di co-
gliere chiaramente il significato dell'azione dei due
protagonisti (le chiavi si distinguono appena nella ri-
produzione fotografica dell'opera), — tutte queste cause
rendono abbastanza credibile lo scambio della rappre-
sentazione, di cui si tratta con una « Accensione ». Del
resto, basta guardare la riproduzione fotografica del
bassorilievo: se a noi, che conosciamo l'opera, saltò
subito agli occhi la somiglianza dei due soggetti, quanto
più era possibile lo sbaglio da parte dell'anonimo au-
tore dell'inventario, che per molti indizi, nel testo di
esso, si tradisce poco versato nelle cose d'arte? Alla
fine del Cinquecento il bassorilievo del Donatello era
in possesso de' Salviati. Ci sarebbe forse passato come
cosa avuta in eredità da Lucrezia, figlia di Lorenzo il
Magnifico e moglie di Jacopo Salviati? Ha conservato
fin oggi pure la cornice vecchia, di cui l'inventario fa
cenno.

Alla pagina 64, nota 4, l'autore inclina alla identi-
ficazione di « un colmo di braccia 2 !|2 chon dua teste
al naturale, ciò Francesco Sforza et Ghathamelata, di
mano d'uno da Vinegia » con un bassorilievo esistente
nel museo d'arte ed industria di Vienna. Senonchè le
dimensioni di esso (44 a 47 centimetri) si discostano
troppo dalla misura indicata nell'inventario (2 J|2 braccia
— 146 centimetri). Inoltre il testo non dice chiaramente
se si abbia da intendere un'opera di pittura o di scul-
tura; l'aggiunta « di mano d'uno di Vinegia » però fa
presumere piuttosto, che si tratti d'un quadro, poiché
era la pittura veneziana, non la scultura, che al prin-
cipio del Cinquecento godeva gran fama di là de' con-
fini del territorio veneziano.

La « storietta di bronzo di br. 1 per Ogni verso,
entrovi uno Christo crucifìxo in mezzo di dua ladroni
con otto fìghure a pie » (pag. 85) sarà probabilmente
 
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