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Archivio storico dell'arte — 2.Ser. 1.1895

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Fasc. I-II
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Sant' Ambrogio, Diego: Bernardino de Rossi in Santa Maria delle Grazie in Milano: nella Sala del Cenacolo e nella crocifissione del Montorfano
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https://doi.org/10.11588/diglit.19207#0035

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20

DIEGO SANT'AMBROGIO

perspicue è precisamente quella dei toni bianchi e neri condotti a fine con una perfezione
veramente mirabile.

Ora, una tal nota individuale si appalesa siffattamente anche nelle figure dei santi dome-
nicani che ornano i pilastri delle navate delle Grazie, che non è possibile esimersi dall'ascri-
vere alla mano di Bernardino De Rossi anche quelle egregie pitture a fresco, per poco che
si abbiano presenti le altre rassomiglianze già notate nella parte decorativa del piedicroce
di detta chiesa e della sala del Cenacolo.

Quei santi raffigurati, quale in atto di leggere, quale orante col giglio emblematico del-
l'ordine, o col crocifìsso fra mani e la palma del martirio, quale infine, come San Pietro
Martire, col coltello che gli spacca il cranio, o come altro domenicano con un pugnale nel
petto e larga ferita nel viso, — sono dipinti con tanta correttezza di disegno e maestria di
colorito che allo stesso Borgognone se ne darebbe il merito, se, come mostrammo, l'analogia
fra quelle pitture e le altre meglio note e di sicura attribuzione al I)e Rossi non rivelassero
l'autore in quest'ultimo artista, che del resto vuoisi dai più. fosse suo scolaro diretto.

Ed è questa speciale sua valentia nel ritrarre con tanta sapienza di colore le tonalità
bianche e nere degli abiti domenicani che ne fa arditi nell'attribuire a questo insigne pittore
pavese anche le aggiunzioni di ben otto figure dell'ordine domenicano a'piedi del grandioso
dipinto di Donato da Montorfano del 1495.

Chi guarda infatti con qualche attenzione questa pittura a fresco del Montorfano non
può a meno di notar tosto la differenza fra le molte figure raggruppate intorno al Cristo
crocifisso in mezzo ai due ladroni, tutte d'un'intonazione chiara e col sistema d'un sem-
plice affresco senza grande consistenza, e le figure dei frati domenicani e di tre domenicane
sulla prima linea del quadro, dipinte a fresco esse pure, ma con quelle tonalità bianche e
nere già notate nei santi del piedicroce e negli affreschi della sala del priore in Pavia e
della facciata di Yigano Certosino, e così con una specie di smalto d'assai superiore sotto
il rispetto tecnico al modo di dipingere a fresco di Donato da Montorfano.

Non è qui il caso di estenderci sulla descrizione di questa Crocifissione del Montorfano
che, per la sua data sicura del 1495, e per l'ampiezza e l'accuratezza della composizione,
costituisce una delle opere pittoriche di maggior vaglia della vecchia scuola lombarda. Lo
stesso Bernardino Luino e Gaudenzio Ferrari, dipingendo entrambi l'egual soggetto, poco
poterono aggiungere, sotto rispetti diversi, a questo pregevole affresco, e il dipinto è tuttora
assai osservato e lodato altresì anche dai molti visitatori del Cenacolo vinciano. 1

Il Cristo crocifisso, avente ai lati quattro angeli ploranti, campeggia nel mezzo de!
quadro a molta altezza dalle persone che assistono al doloroso spettacolo. Molto elevate sono
parimente le croci su cui stanno legati saldamente alle braccia, non crocifìssi, i due ladroni;
quello a sinistra in atto calmo e rassegnato, mentre un angelo ne raccoglie l'anima sotto
forma d'un fantolino e la porge al cielo; l'altro a destra, con espressione accigliata, avente
al disopra un demonio che sta per strappargli l'ultimo respiro.

Parecchi soldati a cavallo si trattengono ai piedi della croce in atteggiamenti fieri
e burbanzosi per lo più, fatta eccezione d'uno di essi a sinistra su una cavalcatura bianca
riccamente bardata di rosso, il quale giunge invece le mani in orazione, tantoché riesce
facile il ravvisare in esso il pio centurione.

Più ricca è la bardatura, rossa parimenti, di altro cavaliere che sta sulla destra di

1 L'abate Malvezzi che ripulì nel 1872 questo af-
fresco invaso tutto quanto dal nitro al punto da riescire
irreconoscibile, dice cbe la composizione del Montorfano
è ben intesa e ricca; le teste sono piene d'espressione;
vi hanno dei bei gruppi e il nudo è ben trattato. Con-
clude affermando che sarebbe un dipinto lodevolissimo
senza il terribile confronto del Cenacolo.

Quanto al Ticozzi, asserisce che non ebbe il Mon-
torfano ne la dottrina, ne lo squisito gusto, ne le belle
forme del suo troppo grande emulo, ma seppe dare ai
volti ed alle mosse maggior verità, bellezza ed espres-
sione che non costumavasi dai suoi contemporanei, e
mostrò pure di conoscere la prospettiva e l'architettura.
 
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