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Archivio storico dell'arte — 2.Ser. 1.1895

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Fasc. I-II
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Frizzoni, Gustavo: La Galleria Nazionale di Londra: e i suoi recenti aumenti in fatto di Arte Italiana
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https://doi.org/10.11588/diglit.19207#0104

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95

che ciò sia per avverarsi, il secondo quadro, a quanto ci viene riferito, trovasi ora in possesso
di un signor Steinkopf di Amburgo.

Dalla raccolta Eastlake:

Scuola di Filippino Lippi, Ercole Roberti, Cordegliaghi.

Un'altra occasione favorevole all'incremento della grande Galleria fu quella offerta
dalla vendita all'asta della raccolta Eastlake effettuatasi nella scorsa primavera. È noto che
sir Charles Eastlake tenne per una serie di anni il posto di direttore della National Gallery
e colla sua illuminata attività si rese oltremodo benemerito della medesima, arricchendola
di un numero ragguardevole di quadri di primari autori. Appassionato egli stesso poi del-
l'arte grande e severa, volle circondarsi anche in casa sua di opere scelte, massime di scuola
italiana, per la quale aveva una spiccata predilezione, e riesci a formarsi una raccoltina dove
figuravano parecchi dei più ambiti autori dell'età d'oro. Basti rammentare in proposito quel
suo gioiello di tavoletta, unico nel suo genere, del veronese Vit'tor Pisano, colle tipiche
figure di San Giorgio e Sant'Antonio, il quale dalla vedova Eastlake fu poi ceduto alla
Galleria. Tenuta a morte un anno fa anche codesta colta e distinta signora, l'erede suo
volle realizzare il valore della raccolta, e come era da aspettarsi n'ebbe un ricavo altamente
rimuneratore, in grazia non meno del nome della raccolta che del valore intrinseco dei capi
ond'era costituita.

Di questi ne furono acquistati quattro dalla National Gallery, e sono: una Sacra Fa-
miglia, attribuita a Filippino Lippi, un piccolo dittico di Ercole Roberti, una Madonna del
Borgognone ed una di Andrea Cordegliaghi.

Non ci fermeremo sul primo, che per quanto sia una cosetta graziosa, tanto ultima-
mente quanto in anni anteriori non mi è mai sembrato opera di un carattere abbastanza
spiccato pei' poterlo attribuire al figlio del celebre frate. Se verrà confermato dunque che
quella piccola tavola piuttosto che a Filippino debba essere assegnata a qualche suo seguace
non molto dissimile da Raffaellino del Garbo, se ne dovrà dedurre che l'acquisto della mede
sima non era fra i più desiderabili per la Galleria.

La stessa cosa non è a dirsi dell'interessante piccolo dittico, nel quale si ravvisano
tuttora, per quanto forse raddolciti in alcune parti dal ristauro, i tratti caratteristici del
valente vecchio ferrarese (figure 4a e 5a). A questa ultima circostanza è da attribuire certa-
mente il dubbio da taluno sollevato circa la derivazione diretta di cotesta opera dal Roberti:
ma in realtà se si guarda alla struttura ossea delle figure, dove non mancano (in ispecie
nel modellato scarno delle estremità e delle loro mosse) i punti di ragguaglio con la strut-
tura peculiare all'eminente seguace di Cosimo Tura, se si guarda alla natura del paesaggio,
dalle chiare scogliere, in mezzo a linee ondulate di monticelli e alle macchiette che vi sono
sparse e che costituiscono altrettanti piccoli episodi in aggiunta ai soggetti principali, non
si può far a meno di riconoscervi lo stesso autore dal quale consta essere uscite altre opere
vie più significanti, quali le ben note predelle di Dresda e di Liverpool, non che la tavo-
letta della Raccolta della manna della stessa Galleria Nazionale. Nè potrà sfuggire ad alcuno,
oltre a tutto il rimanente, la spiccata somiglianza nel genere delle capanne, visibili appunto
nel quadretto della manna e nel presepio qui effigiato, colle loro travature razionalmente
disposte e i nitidi intrecci di vimini.

Al confronto sono ben più giustificati i dubbi circa altro quadretto nella stessa sala
ferrarese, al quale, nel parer nostro, è stato applicato senza sufficiente fondamento il nome
di Ercole Roberti. E quello in cui vedesi rappresentata, entro un ambiente assai studiato
nel suo aspetto architettonico e ornamentale, la riunione degli Apostoli attorno al Reden-
tore, nell'occasione della Santa Cena. In quei visi, per quanto austeri, vi sono certi tratti
goffi e maccaronici, in quelle mani, sterminatamente lunghe, una rigidezza da fantocci,
 
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